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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Sab Mag 30, 2009 6:27 pm

ecco questa è una fanfict ancora non conclusa....comunque adesso metto capitolo per capitolo......se qualcuno non ha ancora letto Midnight Sun....me lo dica....che lo metto nei capitoli inediti!!! o se no lo facc quando ho un po' di tempo


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Continuo Midnight Sun Empty 1 capitolo - Interrogatrio(1 parte)

Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Sab Mag 30, 2009 6:28 pm

Capitolo 13 - Interrogatorio

Erano passati solo pochi minuti da quando avevo lasciato Bella a casa sua, ma mi sembravano già ore – è vero che la sensazione che avevo del tempo ormai differiva notevolmente da quella degli umani, difficile pensare che potesse andare diversamente quando hai davanti a te l’eternità, ma se prima la noia e l’apatia erano le mie migliori compagne, adesso il tempo aveva preso un nuovo significato, adesso ogni istante diventava sempre più prezioso e non volevo che passasse, desideravo che si fermasse perché mi sentivo più vivo di quanto lo fossi stati quando ero in vita.
Desideravo tornare da Bella, osservare gli impercettibili cambiamenti sul suo viso, assicurarmi che il suo sonno fosse tranquillo, sentire chiamare il mio nome nei suoi sogni.
Iniziai a guidare ancor più velocemente del solito, ma non avevo una meta precisa.
Sapevo che se fossi tornato a casa avrei dovuto affrontare l’ira di Rosalie – potevo immaginare il suo pensiero “Idiota!” – ma non poteva sapere che di Bella poteva fidarsi, non riusciva a capire ciò che ci legava e la sua infinità bontà, il suo altruismo, la sua generosità – non le aveva mai dato una possibilità. Non ero pronto ad affrontarla, avevo ben altro in testa per ascoltare i suoi insulsi insulti. Bella avrebbe presto avuto la possibilità di vedermi alla luce del sole: l’avrei spaventata? Avrebbe finalmente visto il Mostro che si cela in me? Era giusto permetterle di starmi così vicino per tutto un giorno, noi due da soli, senza nemmeno un testimone, permettere che quell’odore buonissimo, reso ancora più dolce dal calore del sole, inondasse l’aria attorno a me? Ma potevo ormai tirarmi indietro senza ferirla? Potevo lasciarla da sola un’interminabile giornata intera, rischiando che la sua fragilità umana – o ancor più la sua incredibile capacità di attirare i guai – mettesero a rischio la sua vita? Potevo io mettere a rischio quella vita per me così preziosa?
Decisi di allontanare quei pensieri e con una brusca inviersione mi diressi verso casa: dovevo affrontare la mia famiglia, sebbene sapessi che non sarebbe stato facile.
Arrivato a casa, corsi nella mia stanza per pensare come affrontare Rosalie, il cielo era ancora scuro e sarebbe stata una lunga notte - io desideravo solo correre da Bella, o correre via dalle mie responsabilità verso la mia famiglia – o entrambi. Ma non volevo più essere codardo, dovevo delle spiegazioni, soprattutto ad Esme e Carlisle, anche se sapevo che loro avrebbero in ogni caso sostenuto qualunque mia scelta. Alice era sempre più entusiasta e mi appoggiava, non sarebbe stata un problema. Jazz e Rosalie invece non riuscivano a capire.
“Lei sa tutto! Sa tutto su di noi, e se ora decidesse di dirlo in giro? Non siamo al sicuro! Dovevamo prenderci cura della situazione quando ne avevamo l’occasione, quando hai avuto la brillante idea di salvarle la vita! Io non voglio trasferirmi di nuovo, e anche se ci trasferissimo, se lei parlasse?” Rosalie ringhiava con una velocità tale che nessun umano sarebbe stato in grado di comprendere.
Emmet vide il mio volto insasprirsi di rabbia, capì che stavo cercando di controllare ogni singola cellula del mio corpo per trattenermi da una reazione violenta. Se solo avessi potuto le sarei saltato addosso e niente sarebbe riuscito a bloccarmi. Le prese una mano e l’accarezzò dolcemente per calmarla.
“Nessuno le crederebbe Rosalie, e sono sicuro che se Edward avesse reputato pericoloso mettere a conoscenza Bella del nostro segreto, non lo avrebbe fatto” disse Carlisle, cercando di recuperare la situazione.
Non lo avrei fatto? Sarei riuscito a mentirle ulterirormente? La mia lucidità svanisce in sua presenza.
“Vedo che andrà tutto bene, non lo dirà, l’immagine è nitida, ne sono certa” sussurrò alice con un sorriso.
Jasper si allontanò dalla stanza e iniziò a correre nel bosco ma i suoi pensieri erano estremamente chiari. La sua rabbia era diversa da quella di Rosalie, la sua preoccupazione non era rivolta al problema di dover rincominciare da capo, di dover scomparire, per lui un posto era come un altro, era abituato ad una vita senza stabilità. Jasper era preoccupato per la futura amicizia tra Bella e Alice, per la sua inevitabile vicinanza, non sapeva quanto a lungo sarebbe riuscito a reprimere i suoi istinti, non era facile per lui, era ancora nuovo a questa vita. La preoccupazione si mischiava alla rabbia nei miei confronti, la mia debolezza iniziale era stata per lui quasi un sollievo, non doversi sentire l’unico debole, ma adesso.. ora io ero capace di superare ogni mio istinto - la gola che bruciava, il veleno che ardeva nella mia bocca – niente poteva fermarmi da starle vicino, nessun dolore poteva tenermi lontano da lei e distruggere il mio autocontrollo.
“Basta, sono stanco di questo discorso, Bella non dirà niente a nessuno, non lo ha mai fatto fin’ora e ha reagito straordinariamente bene alla verità sulla nostra natura! E Rosalie, osa torcerle un capello, osa anche solo trattarla in modo non degno di lei, e dovrai vedertela con me!” Con queste parole lasciai la stanza. La luce ormai si stava schiarendo e io dovevo recuperare il mio autocontrollo.
Mi bastò pensare che tra pochi minuti avrei rivisto Bella per riuscire ad addolcirmi di nuovo.
Ero ad un paio di isolati da casa di Bella, fremevo dal desiderio di perdermi nei suoi occhi di cioccolato fuso, ma potei sentire che Charlie era ancora a casa. Sebbene la percezione che avevo della sua mente non fosse totalmente nitida, riuscii comunque a sentire il dialogo che stava avendo con lei.
“A proposito di sabato..” disse con un tono vago e preoccupato.
“Si papà” rispose Bella
“Sei sempre decisa ad andare a Seattle?”
Dì di no, digli che andrai a fare una passeggiata con me – dammi un testimone! righiavo tra me e me. Quanto desideravo che Bella gli dicesse la verità – la verità.. Papà, vado con un mostrosuo Vampiro da sola in mezzo ai boschi per vedere come reagisce alla luce del sole, ma non preoccuparti, tanto è vegetariano! – forse non era il caso che gli dicesse la verità, almeno non tutta.
“I miei piani sarebbero quelli”
“E sei sicura di non riuscire a tornare in tempo per il ballo?”
“Papà, al ballo non ci vado”
Ridacchiai silenziosamente all’immagine di Bella che ballava, considerata la sua abilità di perdere l’equilibrio persino facendo i movimenti più semplici su una superficie piana, ma quell’ ironia svanì immediatamente all’immagine di noi due che ballavamo, il suo corpo morbido e caldo stretto a contatto con il mio, mentre la guidavo nella danza– un’immagine impossibile, il mio freddo corpo di pietra l’avrebbe fatta rabbrividire.
“Nessuno ti ha invitata?” Dovrei preoccuparmi? Forse non si è integrata abbastanza.
“Gli inviti spettano alle ragazze”
“Ah” Allora magari c’è qualche ragazzo che le ronza attorno, ma lei non vuole andare. E se invece ci fosse qualcuno che le interessa? Se semplicemente fosse troppo timida per chiederglielo? In fondo lei purtroppo ha preso questo lato del carattere da me, non è estroversa. Meglio così però, altrimenti quel giovanotto dovrebbe ben fare attenzione a comportarsi bene!
Sentii Charlie salutare, entrò nell’inconfondibile auto della polizia, e si allontanò. Senza perdere un istante, ripartii e posteggiai nel vialetto di casa Swan. Dopo pochi secondi vidi Bella affacciarsi.
Presi una boccata d’aria fresca per riempirmi i polmoni prima che il suo delizioso profumo mi travolgesse – in fondo quella notte non ero stato da lei e dovevo prevedere che l’impatto sarebbe stato molto forte una volta che avessi insipirato l’aria riscaldata dal suo calore.
“Buongiorno” dissi con dolcezza “Oggi come stai?” perlustrai il suo viso per provare ad immaginare come avesse dormito quella notte – ora mi pentivo di quella scelta, di non esserle stato accanto, come avevo potuto permettermi di perdere qualche istante della sua vita?
“Bene grazie” rispose con un sorriso. Il suo viso però aveva qualcosa di diverso, delle occhiaie lo rendevano stanco, aveva forse avuto incubi? L’avevo spaventata ieri con i miei discorsi? Forse l’immagine della caccia..
“Sembri stanca” le dissi, cercando di celare la preoccupazione. Desideravo ardentemente sapere, dovevo sapere! cosa l’avesse turbata.
“Non riuscivo a dormire” confessò, passandosi i capelli sulla spalla come se volesse proteggersi. L’avevo impaurita? Finalmente. Il suo sguardo sembrava sereno ora, ma forse il suo inconscio si era svegliato? Forse il suo lato umano, quel lato che pensavo ormai non esistesse, ovvero l’istinto si era risvegliato e l’aveva inconsciamente messa in guardia davanti al grande pericolo che stava correndo. Lo speravo, ma temevo anche, egoisticamente, che ciò accaddesse.
Avviai il motore “Neanche io” dissi con ironia, anche se mi sentivo poco ironico all’idea che lei potesse ascoltare quell’istinto e decidere di allontanarmi. Cos’avrei dato per poter ascoltare i suoi pensieri, per sapere cosa l’aveva tenuta sveglia.
Scoppiò a ridere “Non c’è dubbio. Diciamo che avrò dormito poco più di te”
“Ci scommetto”
“E tu, cos’hai fatto ieri sera?”
Non volevo dirle della mia litigata con Rosalie, non avrebbe accettato di essere motivo di conflitto per la mia famiglia, piuttosto si sarebbe fatta da parte – e di certo non lo volevo.
L’idea di mentirle non doveva essere nemmeno presa in considerazione, avevo faticato molto per essere totalmente onesto – “Alt. Oggi le domande spettano a me” risi, cercando di sviare il discorso.
“Ah, d’accordo. Cosa vuoi sapere?” mi rispose con aria perplessa.
Non sapevo da dove iniziare, volevo conoscere ogni singolo dettaglio della sua vita e del suo carattere, cosa le piaceva, quali erano i suoi film preferiti, quali gli artisti, i libri, qualunque cosa che potesse aiutarmi a delineare meglio il suo carattere dando forma a quel semplice – nulla che la riguardasse era in realtà semplice – elenco che avevo creato.
“Qual è il tuo colore preferito?” chiesi.
Ci pensò qualche istante “Cambia ogni giorno” mi rispose.
“Oggi qual è?” insistetti.
“Probabilmente il marrone” affermò.
Cercai di soffocare una risata. Le sue stranezze non avevano fondo. Un’altra umana adolescente avrebbe forse risposto rosa, rosso, azzurro probabilmente.. ma lei preferiva il marrone.
“Marrone?” chiesi scettico.
“Certo. Il marrone è caldo. Ho nostalgia del marrone. Tutto ciò che in teoria è marrone – tronchi d’albero, rocce, terra – da queste parti è coperto di roba verde e viscida”.
La fissavo negli occhi mentre riflettevo su quel ragionamento. Ovviamente da lei non potevo aspettarmi una risposta banale, la sua scelta, conoscendola, per quanto inaspettatava poteva essere quasi ovvia, per la sua profondità e per quella vena malinconica.
“Hai ragione” conclusi “il marrone è caldo” a differenza di me. Facendo attenzione a non toccarla con la mia pelle fredda mi avvicinai per risistemarle i capelli dietro le spalle.
Eravamo ormai arrivati a scuola. Volevo continuare il mio interrogatorio, desideravo carpire ogni minima sfumatura della sua vita. Chissà che musica ascoltava. “Cosa c’è in questo momento nel tuo lettore CD?” chiesi con tono quasi brusco – avevo talmente tanta sete di conoscenza che non seppi modulare la mia voce.
Mi disse il nome della band, era un nome che conoscevo bene ma non immaginavo assolutamente che quella musica potesse essere adeguata a lei, troppe urla e frastuono. Come poteva la stessa ragazza che conosceva Debussy ascoltare quella musica? Che storia c’era dietro a quella scelta stramba?
Aprii lo scompartimento posto sotto all’autoradio, lo estrassi dalla mia raccolta di CD e glielo mostrai. “ Da Debussy a questo?”. Abbassò lo sguardo analizzando la copertna assorta nei suoi pensieri.
Continuai ad interrogarla per tutta la giornata e la mia fascinazione non fece che aumentare, le sue risposte erano a tratti brevi e casuali oppure profonde e spiazzanti. Il puzzle si stava componendo, anche se mancavano ancora migliaia di pezzi perché potesse essere finito, e se da un lato non desideravo altro che avere l’immagine completa, dall’altro non potevo che sperare che non finisse mai di stupirmi, che non smettesse mai di rispondere alle mie curiosità, specialmente quando arrossiva, illuminando le sue guance di rosa per l’imbarazzo.
“Qual è la tua pietra preferita?”
“Topazio” rispose questa volta senza esitare “Anche se un tempo in realtà era il granato”
“Perché hai cambiato” incalzai.


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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Sab Mag 30, 2009 6:28 pm

“Non lo so, a volte i gusti cambiano, no?” mi rispose con lo sguardo basso, poco convincente. Era sempre stata una pessima attrice.
“Per favore, Bella, dimmi perché. Vorrei solo riuscire a conoscerti, sai quanto è frustrante per me non riuscire a leggerti”.
Senza alzare lo sguardo restava in silenzio, ma potevo sentire il calore del suo sangue che saliva verso il suo volto.
“Dimmelo” le ordinai, per la frustrazione.
“E’ il colore dei tuoi occhi, oggi” sospirò giocherellando con i suoi capelli “Dovessi chiedermelo tra due settimane ti risponderei che è l’onice”.
Ne ero lusingato.
“ Quali sono i tuoi fiori preferiti?”
Avrei continuato così finchè l’ultima delle mie curiosità non avesse ricevuto risposta.
Si avvicinava l’ora di biologia, e mi chiedevo se quella strana, nuova, sensazione avrebbe di nuovo messo a repentaglio il mio autocontrollo, creando un’elettricità unica tra i nostri corpi. Era troppo difficile starle vicino in quella sensazione, ma non più per la sete, non per quella sete, ma per il nuovo desiderio di toccarla, di avvicinarmi, di creare un contatto tra la nostra pelle. Speravo che il Sig. Banner avesse cambiato programma e che decidesse di fare qualche esercitazione, ma eccolo che entrava con il carrelino per gli audiovisivi. Insicuro della mia capacità di controllarmi decisi di allontanarmi da lei.
Non servì a molto. Vidi Bella allungarsi sul banco e appoggiare il viso sulle braccia conserte. Non feci che guardare lei invece che il filmato, in attesa di qualche suo sguardo. La tentazione di sfiorarla era sempre più di difficile da combattere, quasi impossibile resistere, non avrei più voluto resistere, non lo avrei più fatto, in fondo avevo già abbandonato ogni comportamento logico e razionale, mi ero già spinto oltre, ormai tanto valeva vivere quel che potevo. Ma non era questo il momento e il posto giusto, se l’avessi anche solo sfiorata, ora, mentre era concentrata sul filmato, avrebbe potuto sobbalzare e attirare l’attenzione.
Il Sig. Banner accese le luci e Bella si voltò subito a guardarmi.
Mi alzai in silenzio e mi fermai ad attenderla. La accompagnai in palestra, assorto nei miei pensieri, e questa volta, senza pensarci allungai la mia mano verso il suo viso e l’accarezzai con il dorso lungo tutto il viso. Appena mi resi conto di ciò che avevo fatto mi voltai e me ne andai, scosso. E’ vero che avevo deciso di lasciarmi andare ma non potevo permettermi di lasciare che il mio corpo agisse da solo, d’impulso.
Raggiunsi Emmet, che mi aspettava davanti all’aula di spagnolo.
Pensavo che oggi lo scontro sarebbe stato inevitabile. Fratello, tu non sai in che guai mi stai mettendo con Rosalie.
“Mi dispiace” sussurai “Ma non sono più disposto ad accettare i suoi comportamenti, so che.. che può pensare che vi stia facendo correre un rischio inutile, ma lei ha te, tu hai lei.. Alice e Jasper, Carlisle e Esme.. Io sono stato da solo per quasi un secolo e ormai pensavo che mai avrei potuto provare queste sensazioni.. e lei si comporta così per la sua van… perché non vuole cambiare città?” borbottai ad un livello di voce presocchè impercettibile.
“Woo.. di cosa stavi parlando?” mi guardò curioso
“Niente. Solo che vorrei che qualche volta mettesse da parte il suo egoismo” sospirai.
Stavo per tradire la sua fiducia, rivelando che il suo astio per Bella era motivato dalla pura gelosia, ma anche se faceva di tutto per rendermi la vita impossibile, non volevo tradire la sua fiducia.
“Mi dispiace, oggi preferisco saltare la lezione” mi voltai e uscii dalla classe.
“E’ per quello che ci siamo detti?”
Scossi il capo, semplicemente desideravo andare in macchina, non avere distrazioni mentre cercavo di comprendere la reazione di bella alla mia carezza. In fondo era anche divertente spiarla mentre era in palestra, avevo trovato un nuovo passatempo. Sorrisi.
Cercai come al solito Mike e non fu difficile trovarlo.
Ha scelto Cullen, sono obbligato ad essere il suo compagno di squadra, ma di certo non potrà aspettarsi che le parli dopo come mi ha trattato ieri. Non sono affari miei, va bene, non mi immischierò più. In fondo, se sceglie quello probabilmente ha qualcosa che non va. Come fa a non essere terrorizzata. E poi, in fondo Jess non è male, forse è meglio così. Poi insomma, dopo quel che è successo secondo me..
Non la guardava, era inutile ascoltare quegli inutili stupidi e volgari pensieri, non avrebbero portato a nulla se non ad avvicinare l’ora in cui avrei sbottato. Non meritava nemmeno di avere l’amicizia di Bella. Decisi di ascoltare il CD della band che mi aveva nominato Bella, cercando di capire quale connessione potesse mai avere con lei. Nel frattempo una nuova serie di domande continuò a riempirmi il cervello e l’attesa per le risposte mi rese ancora più impaziente.
Guardai l’ora e decisi di avviarmi verso Bella, che sarebbe uscita a momenti dalla palestra.
Eccola, amminava goffa come sempre e appena mi vide allungò le labbra in una sorriso aperto e sincero. Possibile che questa fosse davvero la reazione alla mia pelle ghiacciata? Incredulo e felice le risposi al sorriso e non persi tempo prima di rincominciare con le domande. Come aveva vissuto fino ad ora, cosa faceva a Phoenix, com’era, cosa le mancava di più.
Ascoltavo completamente assorto le sue risposte e cercavo di farmi descrivere tutti i dettagli, ma non riuscivo a capacitarmi di come potesse avere avuto una vita come quella, vissuta quasi nell’ombra. Come poteva? La sua presenza da sola sembrava illuminare la vita ogni singolo essere umano qui. Aveva dato senso, un unico senso, alla mia esistenza. Possibile che fosse vero? O forse con la sua totale mancanza di autostima si era convinta di ciò?
Bella proseguì nel raccontarmi i dettagli di quel paesaggio arido, ma anche bellissimo raccontato attraverso i suoi occhi attenti, che coglievano ogni sfumatura di quella straordinaria natura. Parlò per ore, non l’avevo mai sentita parlare così a lungo e, invece che guardare in basso o giocherellare con le mani, con i capelli, adesso stava danzando con infinita grazia, aiutandosi con ampi gesti a dar vita a quelle immagini.
Ormai eravamo arrivati davanti a casa di Charlie da ore e il cielo si stava oscurando promettendo un diluvio che presto ci assalì.
Il suo dell’auto di Charlie interruppe la magia di quel momento e rimasi in silenzio per qualche secondo per accertarmi che fosse proprio lui. Non volevo andare via, non ora.
“Hai finito?” chiese, sembrava quasi sollevata.
“Neanche per sogno… ma tra poco tornerà tuo padre”.
“Charlie” quasi urlò, come se si fosse svegliata improvvisamente da un sogno “Quanto è tardi?” si chiese.
“E’ il crepuscolo” mormorai. E un altro giorno è passato e dovrò aspettare di nuovo fino a domani prima di poterle parlare di nuovo. Mi rattristai al pensiero di quanto la notte mi rendesse ancora meno umano. Non potevo dormire, un tempo era il mio momento privato, mio e della mia famiglia, potevamo essere noi stessi, mentre il mondo silenzioso dormiva, ma adesso sanciva ogni distanza tra di noi.
La guardai e vidi i suoi occhi interrogativi “Per noi è il momento più scuro della giornata. L’ora più leggera, ma in qualche senso anche la più triste… la fine di un altro giorno, il ritorno della notte. L’scurità è troppo prevedibile non credi?” Sorrisi malinconico.
“A me la notte piace. Se non ci fosse il buio non vedremmo le stelle. Bè, non che qui si vedano granchè”.
Risi, questa volta non in modo naturale, ma sentii che aiutò ad alleggerire l’atmosfera.
“Charlie tornerà tra qualche minuto. Perciò, a meno che tu non voglia dirgli che sabato verrai con me..” non potei finire la frase.
“Grazie, ma.. no, grazie” raccolse i libri “Quindi domani tocca a me?”
“Certo che no” finsi giocosamente di essere irritato “Ti ho detto che non ho ancora finito, no?” Le sorrisi .
“E che altro manca?”
“Lo scoprirai domani” Ho tutta la notte per pensarci. Aprii la sua portiera e sentii il suo cuore battere frenetico. Ma non fu la gioia che le sue emozioni mi provocavano a congelarmi, quanto l’odore del Quileute che si avvicinava. Era l’ora di andarmene se non volevo rischiare di rendere la situazione, già difficile, ancora più complicata.
“Cattive notizie” dissi inquieto. Sentivo tutti i nervi e i muscoli del mio corpo tesi. Dovevo muovermi.
“Che c’è” mi chiese Bella, notando il mio cambiamento repentino.
“Un’altra complicazione” mi trattenni dal ruggire.
Aprii la porta velocemente e mi spostai così che potesse scendere velocemente dalla macchina. Potevo già vedere i fari dell’auto, dovevo correre.
“Charli è dietro l’angolo” la avvisai. Attesi che scendesse sotto la pioggia battente, ma non riuscii subito ad infilarmi in macchina. Il mio istinto mi pietrificava come se dovessi attendere il nemico per lo scontro. Nemico.. in realtà la violazione del patto avrebbe potuto portare ad una guerra. Erano loro ad essere in torto e io avevo tutta la ragione di essere furioso. Ma se non fosse stato per lui Bella non avrebbe saputo di me.. e io.. io non avrei potuto essere quasi me stesso con lei. In fondo gli dovevo molto. Ma il mio corpo non ascoltava le mie ultime conclusioni. Nonostante la tregua eravamo nemici da secoli e ciò non poteva cambiare adesso.
Misi in moto l’auto e sgommai sparendo in pochi istanti. Io e Billy Black riuscimmo a scambiarci uno sguardo minaccioso per un breve istante, prima che le nostre auto proseguissero in versi opposti. Mentre sfrecciavo verso casa il mio istinto protettivo mi implorava di fermarmi, ma razionalmente sapevo che non avrebbe avuto alcun senso. Billy credeva alla leggenda tramandata dalla tradizione, l’avevo letto nei suoi occhi e non solo..
“Stalle lontano, mostro, ti controllerò!” mi intimò il discendente di Ephram Black.
Non avrebbe detto nulla che violasse il patto. Non sapeva che era già stato violato da suo figlio. Ma questo non era comunque un buon motivo per dare il via ad una guerra, lui non ci credeva, era solo una sciocca storia dell’orrore per far colpo su Bella.. come biasimarlo. Certo non poteva immaginare che lo avrebbe raccontato all’unico essere umano che, invece che riderne, ci avrebbe realmente creduto e ne avrebbe tratto conclusioni che avrebbero influenzato definitivamente il suo futuro.
No, non dovevano influenzarlo! Non almeno come lo vedeva Alice.
Arrivai a casa e corsi verso Alice. In fondo un controllino su come poteva modificarsi il futuro con l’inaspettato incontro tra Bella, Charlie e i Black poteva sempre tornare utile.
“Ciao Edward, per un pelo eh? Li ho visti arrivare, ma stai tranquillo, a parte qualche avvertimento che non affetterà Bella, non è stato detto ne’ fatto alcunchè di compromettente.”
“Grazie Alice, sei sempre attenta e cara”. Le risposi con reale affetto.
Bene, allora immagino di meritare una ricompensa! Domani potrò parlare con Bella? Sfoggiò un sorriso irresistibile Ormai l ho già visto tirò fuori la sua piccola lingua.
“E va bene. Ma, poiché sabato passerò la giornata con Bella, tu domani mi accompagnerai a caccia..?”
“Ci sto!” rispose senza esitazione. “Posso chiederlo a Jasper?”
“Non so come potrebbe prenderla se gli spieghi il motivo, e immagino tu debba visto che non ci allontaneremo, ma io.. lo sai, non ho alcun problema”.
Saltellando si diresse verso la cucina, dove Jasper ed Emmet stavano giocando a scacchi, mentre Rosalie cuciva il suo ultimo vestito. Esme e Carlisle avevano uno dei loro momenti, seduti sul divano, fissandosi intensamente, come in un silenzioso dialogo privato.
“No Alice, vattene. Non vogliamo sapere chi vincerà!” borbotto Emmet senza distogliere lo sguardo dalle pedine.
“Non ve lo dirò. Ma.. Jazz, ti va di venire con noi a caccia domani?”
“Sei euforica” sorrise “Dove andiamo di bello?” annuì
“In realtà restiamo in zona” sussurò “Accompagno Edward, che sabato passerà la giornata con Bella”.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Sab Mag 30, 2009 6:29 pm

“Ah” si rabbuiò. “In tal caso penso che andrò sabato con gli altri, sai che non impazzisco per gli erbivori”. Proprio non si arrende. Quanto vorrei appoggiarlo, vorrei stargli vicino, so che non è facile, ma non si rende conto di quali sarebbero le conseguenze - ora che si è esposto - se qualcosa andasse storto? Non capisce che non è umano e certi istinti non possono essere del tutto repressi?
Il fatto che Jasper avesse declinato l’invito non bastò a smorzare l’entusiasmo di Alice, che tornò da me saltellando “Allora, quando si parte?”
“Subito dopo pranzo direi, poi abbiamo comunque tutta la notte.”
“Perfetto, ora immagino che andrai da Bella”
“No, non subito, sai che i Black sono lì. Immagino che Charlie resterà sveglio più a lungo”
“Uhm.. vero” disse pensierosa mentre si allontanava.
La presi per un braccio e la guardai intensamente. Subito potei vedere delle nuove immagini che si schiarivano nella sua mente. Bella nel suo letto, io seduto come sempre a guardarla dormire e Alice affianco a me seduta sulla finestra. Sorrise di gioia “Certo, mi pare un’ottima idea abituarmi al suo odore, visto che domani finalmente mi avvicinerò a lei”.
“Allora a dopo” le sussurrai con scarso entusiasmo.
Appena fui sicuro che Charlie dormisse, entrai dalle finestra, ormai ben scorrevole, e scivolai sulla mia sedia. Bella stava dormendo particolarmente tranquilla, serena, e non stava parlando. Feci segno ad Alice di avvicinarsi, i miei muscoli erano completamente tesi e pronti a fermarla nel caso il suo istinto avesse la meglio. Con movimenti impercettibili entrò e prese un una breve boccata d’aria. E’ proprio buono! Sorrise lievemente. Osservai con attenzione il suo volto, non vedevo segno di sofferenza. Possibile che la gola non le bruciasse quanto la mia? Insipirò di nuovo, questa volta profondamente. Sorrise di nuovo. Finalmente i miei muscoli si rilassarono e potei concentrarmi sulla bellezza di quella creatura meravigliosa che ogni tanto emetteva qualche strano suono dalla sua bocca.
Tu passi quasi tutte le notti così? Mi chiese perplessa.
Annuii senza distogliere gli occhi da colei che ormai era diventata il motivo della mia esistenza.
Certo che sei strano. L’odore è ottimo, ma brucia. E non succede niente, a parte qualche piccolo movimento. Chissà cosa ci trovi. Però a me Bella piace, so che è speciale. Non vedo l’ora di domani.
“Questa era la prova che mi serviva, Alice. Grazie. Se vuoi adesso puoi andare” sussurrai ad un livello di voce che non avrebbe potuto udire nessun umano.
Vi lascio la vostra intimità sorrise e saltò dalla finestra con grazia, correndo veloce verso casa.
Mi concentrai sul suo respiro e sul battito del suo cuore, così calmi e regolari da donarmi un’incredibile serenità. Da quando venivo ad osservarla non l’avevo mai sentita così serena. Ma proprio mentre facevo queste considerazioni, queste vennero tradite da un’improvvisa accellerazione del battito. “Ti amo” sussurrò appena la sua voce, e vidi, nel suo volto ancora sereno, tendersi le labbra in un sorriso intriso di dolcezza.
Mi amava!
La notte passò in fretta e appena vidi un barlume di chiarore nel cielo scappai per andare a cambiarmi. Ero talmente emozionato che la mia Volvo fu vicino a casa sua quando Charlie si era da poco alzato. Dai suoi pensieri poco limpidi potei sentire che era felice per la visita di Billy Black.
Quindi non gli aveva detto nulla, altrimenti sarebbe stato furibondo e terrorizzato.
I suoi pensieri si concentrarono ora su Bella, si sentiva in colpa per il poco tempo che le dedicava.
Attraverso i suoi pensieri sentii Bella fischiettare, era di buon umore, pensammo insieme..
Charlie non era ancora salito sulla sua auto, quando avviai il motore e, non incrociandolo per poco, parcheggiai sul vialetto. Bella scese subito e senza esitazioni salì in macchina.
“Dormito bene?” la stuzzicai con una voce che sapevo avere un certo fascino sugli umani.
“Sì, e la tua nottata com’è stata?” mi domandò allegra.
“Piacevole” soffocai una risata. Come poteva essere stato altrimenti?
“Posso chiederti cosa hai fatto?”
“No, oggi è ancora mio” boffonchiai sorridente.
Le domande di oggi erano volte a comprendere maggiormente il suo rapporto con la madre e con gli eventuali parenti che non avevo avuto occasione di conoscere. Da quello che mi aveva detto ricevetti conferme alla mia teoria sulla sua maturità. Si era dovuta prendere cura di una madre irresponsabile, alla quale voleva molto bene. La sua imprevedibilità in fondo sembrava provenire proprio da lei. Cercai di capire quanto più potevo di quella donna, di sicuro che mi avrebbe aiutato a completare parte del puzzle. Ed effettivamente fu di grande aiuto.
Ma dopo la rivelazione di quella notte, ciò che più di tutto desideravo conoscere riguardava la sua vita sentimentale prima che arrivassi io. Ero il primo del quale si era innamorata, o c’erano stati altri?
“Sei mai uscita con qualcuno?”
“Con qualcuno?”
“Sì, insomma, hai mai avuto un ragazzo?”
“No, in realtà mai”
Era forse possibile? Possibile che nessuno si fosse accorto di lei? Possibile che nessuno fosse riuscito a riscaldare quel cuore? “Perciò non sei mai uscita con qualcuno che ti piaceva?” insistetti incredulo.
“Non a Phoenix” mi disse timidamente, riempendo di rosa le sue guance.
Non potei fare a meno di sorridere della sua onestà. Se solo avesse saputo di ciò che mi aveva confessato poche ore prima..
Il tempo era volato, mi sentivo quasi galleggiare oggi, una sensazione che mai avevo provato, ne’ da immortale, ne’ durante la mia vita umana.
Eravamo in mensa e mentre lei tra una domanda e l’altra masticava, potevo sentire l’emozione di Alice che non aspettava altro che avvicinarsi a lei. Mi ricordai improvvisamente che Bella era in macchina con me.
“Forse oggi era meglio che tu venissi da sola” affermai improvvisamente.
“Perché?” mi chiese con tono preoccupato.
“Dopo pranzo vado via con Alice”
“Oh” disse sorpresa e con una vena di delusione. “Non c’è problema, farò una passeggiata”.
Questa sua affermazione mi irritò. Come poteva pensare che l‘avrei fatta tornare a casa a piedi. Potevano investirla, avrebbe potuto inciampare nel momento più sbagliato, non c’era limite ai pericoli che avrebbero potuto cercarla non appena fosse stata sola.
“Non intendo farti tornare a casa a piedi” dissi arrabbiato “Andiamo a prendere il pick-up e lo portiamo qui”.
“Non ho le chiavi. Davvero, non è un problema” insistette.
Sì che era un problema! Scossi la testa “Il tuo pick-up sarà qui e la chiave sarà nel quadro, a meno che tu non tema che qualcuno lo rubi” scoppiai a ridere al pensiero di una tale improbabilità:
“D’accordo” mi rispose pensierosa, quasi in segno di sfida e in risposta le feci una boccaccia.
“Dove andate” chiese curiosa, o forse preoccupata per la mia possibile lunga asssenza.
“A caccia” mi oscurai “Se voglio restare solo con te domani, devo prendere tutte le precauzioni possibili” e potrebbero non bastare pensai preoccupato “Ricorda che puoi sempre annullare la nostra uscita”.
La sua espressione cambiò. Guardò in basso, un gattino timoroso e insieme arrabbiato.
“No, non posso”.
E’ vero, ormai non potevamo. Ormai avevamo superato quel confine invisibile che segnava il limite tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato e non potevamo tornare indietro.
“Forse hai ragione” la mia voce suonò quasi tetra.
“A che ora ci vediamo domani?” chiese con finto entusiasmo
“Dipende, è sabato, non vuoi dormire più a lungo?”
“No” rispose frettolosa. Mi desiderava, nonostante un velo di paura fosse leggibile nei suoi occhi, non voleva rischiare di perdere del tempo con me per dormire. Sorrisi compiaciuto.
“Al solito orario, allora. Ci sarà Charlie?” sarebbe stato meglio che mi vedesse, non desideravo niente di più che avere un testimone che mi ricordasse che Bella doveva tornare a casa.
“No, domani va a pesca” si illuminò.
Come poteva essere così sconsideratamente irresponsabile? Come poteva esserne felice?
“E se non torni a casa cosa penserà?” volevo spaventarla, ma il risultato fu decisamente deludente.
“Non ho idea” disse senza scomporsi “Di solito il sabato faccio il bucato. Penserà che sono caduta nella lavatrice”.
Non smetteva mai di sorprendermi, ma invece che ridere, non potei fare a meno di lanciarle uno sguardo rabbioso, al quale rispose strizzando gli occhi da gattino-arrabbiato.
“Di cosa vai a caccia” mi chiese. Non era spaventata da quell’aspetto della mia esistenza. Lo chiese con una tale disinvoltura che sembrava chiedermi se avessi preferito mangiare una carota o un pomodoro.
“Quello che troviamo nel bosco. Non ci allontaneremo” restai vago.
“Perché ti fai accompagnare da Alice?” chiese curiosa.
“Perché è l’unica che mi.. incoraggia” mormorai, pensando al rifiuto di Jasper, alla perplessità di Carlisle ed Esme, e alla rabbia di Rosalie. Forse Emmet sarebbe anche venuto, se ci fossero stati degli orsi in gioco.
“E gli altri.. cosa dicono?” chiese timidamente. Si preoccupava di non essere accettata, non sapevo se arrabbiarmi o se riderne.
“Per lo più sono increduli” era una mezza verità che non l’avrebbe ferita troppo.
Si voltò a guardarli e poi ritornò a me compiaciuta ma anche rabbuiata.
“Non gli piaccio” aveva concluso.
“Non è questo il problema, non capiscono perché mi intestardisca con te” le confessai.
“Nemmeno io se è per questo” affermò.
Possibile che ancora continuasse a non capire? Possibile che non si accorgesse dell’ effetto che faceva su tutti? Era una causa persa! Alzai gli occhi al cielo.
Scuotendo la testa le risposi con pazienza “Te l’ho detto: tu hai un’idea completamente sbagliata di te stessa. Sei diversa da chiunque altra abbia mai conosciuto. Mi affascini”.
Spalancò gli occhi come se la stessi prendendo in giro. Dovevo essere più convincente.
“Grazie a certe mie qualità, ho una comprensione della natura umana superiore alla media. Le persone sono prevedibili, ma tu.. tu non fai mai come mi aspetto. Mi cogli sempre di sorpresa”.
“E fin qui è molto facile da spiegare” continuai mentre lei tornava a guardare i miei fratelli, evitando il mio sguardo “Ma c’è molto di più.. e non è facile da dire a parole..” non feci in tempo a spiegarle come non fosse solamente la sua imprevedibilità ad affascinarmi, ma anche la sua incredibile grazia – certo, finchè non inciampava – la sua bellezza unica, ma soprattutto quella sua genuinità che riusciva a far sembrare che il mio cuore battesse di nuovo..
Non riuscii a terminare perché lessi le intenzioni di Rosalie, avrei voluto balzarle addosso, non importava se tutti ci avessero scoperti, e avrei voluto farla a pezzi, ma ovviamente non potevo. E ormai era troppo tardi, Rosalie già fissava Bella con aria minacciosa, bloccandole lo sguardo, ipnotizzandola. Dovevo fermarla e istintivamente mi sfuggì un ringhio rabbioso.
Rosalie, udendomi, distolse lo sguaro, liberando Bella.
“Non finisce qui” cercò di intimidirmi.
Provai a recuperare la situazione, terrorizzato all’idea di quanto il gesto di mia sorella e il mio ringhio così poco umano potessero averla spaventata.
Provai con tutto me stesso a recuperare la calma, la mia voce quasi tremava di rabbia “Mi dispiace. È soltanto preoccupata “ provai a giustificarla, anche se dentro di me non l’avrei mai perdonata “Non sarebbe pericoloso soltanto per me, se dopo aver passato così tanto tempo assieme sotto gli occhi di tutti..” inorridii al pensiero.
“Se?” mi incitò Bella.
“Se dovesse finire.. male” mi strinsi il viso tra le mani, in preda alla disperazione che mi avvolgeva al solo pensiero. L’immagine di bella stesa per terra priva di vita mi assalì, assieme alla visione di Bella bellissima e non più vulnerabile..immagine altrettanto poco confortante. Non volevo pensarci. Il futuro sarebbe cambiato!
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Sab Mag 30, 2009 6:29 pm

“E’ ora di andare” disse con voce sicura e con un filo di compassione.
“Sì” acconsentii, mi sfuggì un sorriso al pensiero di come non si fosse scomposta a quella dichiarazione di pericolo, davanti alla mia insicurezza. Si fidava di me, molto più di quanto non facessi io stesso. Ma non era un bene. “Probabilmente è meglio così” continuai indifferente “ci restano ancora quindici minuti di quel maledetto filmato da vedere durante l’ora di biologia e non penso che li sopporterei”.
Alice finalmente avrebbe avuto il suo momento, la vidi avvicinarsi mentre finivo di parlare. Sapevo che potevo fidarmi e non persi tempo a controllare le sue mosse, in fondo potevo controllare direttamente il suo pensiero, continuai quindi a fissare Bella, per non perdermi nemmeno un’istante delle sue reazioni a tale vicinanza con un altro vampiro.
“Alice” la salutai.
“Edward” mi rispose. E’ proprio adorabile. Presentaci, dai!
“Alice, Bella.. Bella, Alice” le presentai accompagnandomi con un ghigno e un gesto della mano.
“Ciao Bella” le sorrise. “Piacere di conoscerti, finalmente”
Finalmente.. adesso sarà contenta e smetterà di torturarmi? La guardai torvo.
“Ciao Alice” rispose timidamente.
“Sei pronto?” Visto, ci voleva così tanto?
“Quasi, ci vediamo alla macchina” la fulminai.
“Devo auguarvi <<buon divertimento>>, o è l’emozione sbagliata?” mi chiese Bella.
“No, <<divertitevi>> può andar bene” risposi con un sorriso, per la sua disinvoltura con quegli argomenti.
“Allora divertitevi” ripetè, con falso entusiasmo.
“Ci proverò. E tu, per favore, cerca di sopravvivere” chiesi seriamente preoccupato per quella distanza.
“Sopravvivere a Forks.. che sfida” disse sarcastica, come se per lei non lo fosse davvero… una sfida”
“Per te lo è” dissi serio. “Promettilo”.
“Prometto che cercherò di sopravvivere. Stasera faccio il bucato, una missione piena di incognite” continuò sarcastica.
Più serio continuai “Non cadere nella lavatrice”
“Farò del mio meglio” era quasi irritata, adesso.
“Ci vediamo domani” sospirò.
“Per te è un’eternità, vero?” pensai ad alta voce.
Annuì seria.
“A domani mattina” conclusi serio.
Raggiunsi Alice alla macchina “Dobbiamo recuperare il pick-up di Bella, non voglio rischiare che le succeda qualcosa, mentre torna a casa a piedi” dissi con reale preoccupazione.
“Non preoccuparti, ho già visto dove sono le chiavi che avremmo trovato dopo una lunga ricerca. Diciamo che l’ordine non è esattamente il suo forte eh?” rise con tenerezza.
“Non perdiamo tempo” la incitai “Io vado a casa a riportare la macchina, tu recuperi le chiavi e porti a scuola il pick-up. Io ti aspetterò dove inizia la foresta dietro alla scuola”.
“Perfetto, andiamo.” disse entusiasta.
Mmm.. certo che questa scia, a confronto dell’ odore di ieri sera, è ben poco invitante. Eppure i cervi non mi dispiacciono solitamente.
Non potei contenere un ringio.
“Ops, scusa Ed. Non volevo offenderti”.
Mi concentrai sulla caccia quanto più potevo, era un momento fondamentale per prepararmi alla difficile giornata di domani. Era un momento cruciale. Avrei svelato anche l’ultimo aspetto di me, uno dei meno umani. Avrebbe voluto scappare inorridita? E se così non fosse, se lo avesse accettato, quanto avrei potuto lasciarmi andare? Le avrei detto dei miei sentimenti? Volevo con tutte le mie forze che si rendesse conto che anche io la amavo, che smettesse di pensare che non ci tenessi quanto lei teneva a me, doveva capire che lei ora era tutto il mio mondo, e lo sarebbe sempre stato. Ma di certo non era saggio lasciarmi andare.
“Edward, credo che tu debba dirglielo”
“Grazie Alice, grazie per l’incoraggiamento, non so come farei senza di te. Sei l’unica che mi capisce davvero, che comprende come sto e accetta fino in fondo le mie scelte”.
Mi sorrise con affetto. “Prego, sai quanto mi rende felice vedere il vostro amore e quanto sarà bella la nostra amicizia”.
Riempii il mio corpo di sangue, decisamente molto più del necessario. Riuscii a sconvolgere Alice, nel dimostrarle quanto ne potessi contenere. Nessuna precauzione è mai abbastanza, mi ripetevo.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Mag 31, 2009 10:25 pm

Capitolo 14 - Equilibrio

Era già mattina, indossai una maglia marrone, era più facile mimetizzarsi e mi serbrava mi desse un aspetto più umano - non che di solito ci prestassi grande attenzione, in realtà. Corsi attraverso la foresta per raggiungere casa di Bella. Oggi, aveva vinto, avrebbe guidato lei, era questo il compromesso al quale eravamo giunti: tra tutte le cose che dovevano terrorizzarla di me, lei aveva paura della mia guida, e aveva insistito affinchè la gita di oggi prevedesse il pick-up, con i suoi 80 Km/h e lei alla guida. Questa immagine era davvero paurosa.
Bussai lievemente alla porta, mentre sentivo i suoi passi veloci correre sulle scale. Mi chiedevo se fosse riuscita ad arrivare alla porta prima di inciampare e rotolare giù. Ma sembrò che fosse sopravvissuta.
Bella aprì la porta e iniziò ad osservarmi. Stesi le labbra in un ampio sorriso, oggi era meravigliosa, ancora più del solito, se questo fosse possibile.
“Buongiorno” la salutai sorridendo. Indossavamo gli stessi vestiti. Una felpa marrone, con colletto chiaro, e jeans. Sebbene la felpa fosse un po’ ampia, senza dubbio comoda - Bella era una persona pratica - il colore le donava al viso: il colletto chiaro aumentava la luce del contrasto tra quella pelle chiara e il marrone scuro.
“Cosa c’è che non va?” mi chiese perplessa.
“Stessa divisa” le feci notare sghignazzando.
Mi avvicinai lentamente, e ancora dubbioso, al pick-up. Non ero sicuro di aver fatto bene a cedere. Avremmo impiegato molto più tempo: in condizioni normali non mi sarebbe dispiaciuta l’idea di passare del tempo in macchina con Bella, ma oggi, con la prova che mi aspettava, ero decisamente impaziente.
“Gli accordi sono accordi” precisò compiaciuta. “Dove andiamo?”
“Allaccia la cintura, sono già nervoso” come minimo bucheremo la ruota, poi finiremo fuori strada e infine ci verrà addosso un camion. Almeno il pick-up è solido, ma di sicuro piomberà dal suo lato..
Obbedì immediatamente, poteva anche lei vedere la stessa scena?
“Dove?” insistette.
“Prendi la centouno, verso nord” le spiegai.
Teneva il volante ben saldo tra le mani, era leggermente piegata in avanti, il suo petto quasi lo sfiorava. Ogni suo muscolo era teso e fissava dritto davanti a se’ totalmente concentrata. Ma soprattutto, guidava incredibilmente lenta. La mia tensione aumentava, ma era così buffa che non potei trattenermi dal stuzzicarla.
“Pensi di farcela, a uscire da Forks prima di sera?”
“Questo pick-up potrebbe essere il nonno della tua auto, abbi rispetto” mi rispose tra il serio e l’ironico.
Dopo un tempo che fu per me interminabile, finalmente vidi il paesaggio trasformarsi, ci stavamo avvicinando al punto in cui dovevamo svoltare.
“Svolta a destra verso la centodieci” anticipai e quando voltò le dissi di proseguire finchè non avesse trovato lo sterrato.
“E quando arriva lo sterrato cosa c’è?” mi chiese curiosa.
“Un sentiero” risposi senza aggiungere altro.
“Trekking?” la sua voce si fece preoccupata.
“E’ un problema” le chiesi.
“No” mentì.
“Non preoccuparti” la incoraggiai “Sono solo sette o otto chilometri, e non abbiamo fretta”.
La vidi incupirsi e diventare silenziosa. A cosa stava pensando? Perché non parlava? Aveva qualche ripensamento?
“A cosa pensi?” chiesi.
“A dove stiamo andando” disse senza alzare lo sguardo.
“In un posto in cui mi piace stare quando c’è bel tempo” risposi concentrandomi sulle nuvole.
“Charlie diceva che sarebbe stata una giornata calda” spezzò quel breve silenzio.
“E tu gli hai raccontato quali erano i tuoi piani?” la interrogai nella speranza che avesse cambiato versione.
“No” sussurò colpevole.
“Ma Jessica crede che stiamo andando a Seattle assieme” cercai di rassicurarmi.
“No, le ho detto che hai annullato la gita.. il che è vero” cercò di giustificarsi.
“Nessuno sa che stai con me” mi irritai dall’inquietudine.
“Dipende.. immagino che tu l’abbia detto ad Alice” cercò di farmi infuriare.
“Questo sì che è d’aiuto” dissi con sarcasmo.
Nessuno era a conoscenza della nostra giornata assieme. Possibile che non desiderasse sentirsi più sicura? Che non volesse dirlo a nessuno? Non mi temeva? Io ero terrorizzato!
“Forks ti deprime così tanto da farti contemplare il suicidio?” le chiesi arrabbiato.
“Sei stato tu a dire che per te poteva essere un problema.. farci vedere assieme” sbottò.
Ero stato io? Lo avevo detto davvero io? Certo che l’avevo detto, ma non era quello il significato. Non mi riferivo a queso momento. Adesso desideravo un testimone, che l’intera città sapesse. Che il mondo intero sapesse. Possibile che pure ora, che la sua vita era in pericolo, dovesse pensare ai problemi che avrei avuto io se… se.. non volevo pensare a quell’eventualità.
“Così saresti preoccupata dei guai che potrei passare io.. se tu non torni a casa?” cercai di usare le parole più delicate possibili per esprimere quell’orrendo concetto, ma doveva capire che il pericolo era evidente.
Lei si limitò ad annuire.
“Sì, devo proprio riconsiderare l’opzione dello specialista mentale” sussurai tanto veloce che non potè capire.
Non potevo sopportare che fosse tanto incosciente. Come poteva pensare a me, quando la sua vita era in gioco. Nessuna calamità che le si fosse mai avvicinata era stata per lei una prova pericolosa, tanto quanto la mia compagnia di oggi. Non ero mai stato tanto nervoso e arrabbiato, da quando mi ero trasformato in immortale. Queste sensazioni non appartenevano più al mio mondo, in fondo non ero più vulnerabile e non avevo motivo di partecipare a discussioni, non avevo più motivo di temere qualcosa. Ma adesso mi ero imbattutto nell’essere più fragile ed irresponsabile del pianeta e, come se non bastasse, questo essere era ormai diventato la cosa più importante della mia esistenza. Mi sentivo più umano di lei, più fragile di lei, in quanto lei sembrava non curarsi di quei pericoli che invece a me erano fin troppo chiari.
Preferii rimandare le mie domande. Al momento dovevo solo concentrarmi e, soprattutto, se avessi parlato, se anche solo mi fossi voltato a guardarla, l’avrei terrorizzata, con i miei occhi color pece.
Arrivammo al sentiero e Bella parcheggiò. Più per un automatismo, che per una vera sensazione di calore, mi tolsi la felpa. E così fece anche lei, mostrando una camicetta senza maniche, che accompagnava le curve di quel suo fragile corpicino. Era bellissima. Quella visione riuscì a tranquillizzarmi abbastanza da parlare.
“Da questa parte” dissi con un tono che tradiva il mio nervosismo.
Mi addentrai nella foresta, facendo strada. Era davvero una buona idea portarla tra i boshi per tutta quella strada? Capace com’era di farsi male persino su una superficie piatta avrebbe rischiato di inciampare e farsi male al primo ramoscello che avesse incontrato. Tuttavia non potevo ancora permettermi di portarla, l’avrei terrorizzata se fosse venuta sulle mie spalle a quella velocità per lei inconcepibile. E sembrava decisamente non apprezzare la velocità, ovviamente, da come mi aveva imposto la tortura del suo pick-up. Era meglio fare un piccolo passo per volta, nel mostrarle le mie.. abilità.
“E il sentiero?” chiese tradendo un lieve panico. Era giunta alle stesse mie considerazioni.
“Ho detto che alla fine della strada avremmo incontrato un sentiero, non che lo avremmo percorso” ironizzai.
“Niente sentiero?” si disperò.
“Non ci perderemo, fidati” cercai di tranquillizzarla.
Potevo leggere sul suo volto una grande paura. Forse finalmente iniziava a realizzare il pericolo che stava correndo e si pentiva di aver nascosto a tutti della nostra gita privata.
“Vuoi tornare a casa?” cercai di darle un’altra possibilità.
“No” disse insicura, accellerando il passo per avvicinarsi a me.
“Cosa c’è che non va?” mi straziai.
“Il trekking non è il mio forte, purtroppo. Ti toccherà essere molto paziente” sottolineò.
“So essere molto paziente.. se mi sforzo” sorrisi. Un tempo non era proprio la mia qualità migliore, ma stando accanto a lei ebbi occasione di allenarmi molto.
Mi persi nei suoi occhi castani. Era la creatura più bella che avvessi mai visto, anche con quell’aria maldestra riusciva a sprigionare un’incredibile grazie. Mi sorrise, di un sorriso che non sembrava sincero.
“Ti porterò a casa” pensai ad alta voce. Potevo cambiare il futuro. Ormai ero abituato al suo odore. Ormai stavamo assieme così a lungo che non mi accorgevo più del veleno che ardeva la gola.
“Se vuoi che io riesca a percorrere otto chilometri nella giungla prima che il sole tramonti, è il caso che tu faccia strada da subito” disse acida, spezzando i miei pensieri.
La guardai, adesso sembrava che ogni sua insicurezza fosse svanita, eppure oggi la preferivo quando era in allerta. Quando la paura le velava lo sguardo.
Proseguii per la strada, cercando di agevolare il passaggio di Bella, eliminando quanti più ostacoli riuscissi.
Arrivammo in prossimità di un albero caduto. In pochi istanti dovetti prendere una decisione: qual era il peggiore dei mali? Terrorizzarla, mostrandole parte della mia forza, e quindi alzare il tronco e lanciarlo via, oppure allungarle la mia mano ghiacciata, che l’avrebbe fatta sussultare?
Decisi per la mano, in fondo sapeva già della mia temperatura e di quanto fosse dura. Al ristorante l’aveva persino cercata.
Le allungai la mano e vidi che non esitò ad accettare il suo aiuto. Il calore della sua pelle e il caldo sangue che scorreva sotto a quel velluto mi bruciarono il palmo, come la prima volta che per errore ci eravamo sfiorati nell’aula di biologia. La fissai e non ebbe reazioni evidenti, se non una fuorte accellerazione del battito cardiaco. Cosa significava? Paura al ricordo di quanto poco umano fossi? O forse - volevo sperarlo - quella reazione era umana quanto quella delle sue compagne di scuola, della signorina Cope e di Jessica. Mi desiderava?
Altre volte dovetti aiutarla, ma il gesto di allungarle la mano divenne automatico. Ormai era collaudato e sembrava non dispiacerle.
Per spezzare il silenzio, che le concedevo – lei doveva respirare, a differenza di me – di tanto in tanto le facevo qualche domanda: quando era il suo compleanno, solitamente come lo festeggiava – e oviamente le sue risposte confermavano quanto non le piacesse ricevere troppe attenzioni – le piaceva la scuola a Forks?, Com’era prima la scuola a Phoenix, dove seguiva le classi avanzate? Aveva mai avuto animali domestici? Mi raccontò della spiacevole fine dei suoi pesci rossi, causandomi una reazione di improvvisa ilarità, che manifestai con una sonora risata.


Ultima modifica di ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ il Ven Lug 10, 2009 10:36 am - modificato 1 volta.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Mag 31, 2009 10:26 pm

Il tempo trascorse in fretta e ormai eravamo quasi arrivati alla radura, dove non avrei più celato il mostro che c’è in me. Le avrei dimostrato, che nonostante le apparenze, non c’era niente di umano in me. Il cielo si schiariva, proprio mentre ci avvicinavamo. Alice è infallibile sul meteo. In fondo questo tipo di futuro non dipende da una sciocca mente che cambia idea improvvisamente. È seplicemente sicuro. Stabilito. Le corrrenti si incontrano, i venti soffiano, le nuvole si muovono e si scontrano con l’aria e da lì nascono la pioggia, la neve, i temporali, gli uragani. O semplicemente i venti diradano le nuvole, ed ecco il sole. Cosa avrei dato per avere un minimo di quella certezza, sapere che il futuro di Bella sarebbe cambiato e che le previsioni di Alice la mostravano invecchiare felice, in un futuro immutabile.
“Non siamo ancora arrivati?” Bella spezzo il silenzio con impazienza.
“Quasi” sorrisi “Vedi che laggiù c’è più luce?” le indicai la direzione.
“Ehm, dovrei?”
Avevo dimenticato quanto offuscati fossero gli occhi umani.
“In effetti, forse è un po’ presto per i tuoi occhi umani” ridacchiai.
“Mi ci vuole una visita dall’oculista” si preoccupò.
Arrivava sempre alle considerazioni più sbagliate. Non ero io ad avere una super vista, ma lei che non ci vedeva abbastanza bene. Ne sorrisi.
Finalmente sembrò aver visto la radura e iniziò a correre, superandomi. Bella entrò nella nell’illuminato verde, e iniziò a guardarsi attorno, il cielo splendente, l’erba verde, la vidi soffermarsi come per ascoltare il ruscello, girava attorno a se stessa, come una bambina felice.
Il sole illuminava il suo volto, facendo risaltare tutti i suoi lineamenti. I capelli mostravano delle tinte inaspettate, di un rosso rame.
Feci un balzo e mi nascosi all’ombra degli enormi alberi che definivano il contorno della radura. Attesi che Bella si ricordasse il motivo per il quale l’avevo portata qui, ma non volevo interrompere quella gioia quasi infantile, solo lei era capace di godere di certe bellezze con occhi sempre nuovi. Ad un certo punto la vidi fermarsi e voltarsi verso la strada che avevamo percorso, probabilmente per cercarmi. Si guardò in giro, finchè non mi vide. A passi lenti e curiosi, si avvicinò verso di me, la mia immagine oscurata dall’ombra.
Non ero più sicuro che fosse una buona idea mostrarmi, ma ormai sapevo che non sarei riuscito a trattenere la sua curiosità. Le feci segno di non avvicinarsi ulteriormente.
Presi un profondo respiro - sentendone quasi l’esigenza, come quando ero umano: in qualche modo quel gesto mi dava coraggio – e mossi un passo in avanti, in attesa che il sole colpisse la mia pelle.
Feci un passo, e sentii subito i raggi colpire la mia pelle. Non smisi un solo istante di fissare bella, che non osava muoversi, come ipnotizzata mi fissava con la bocca socchiusa. Era impossibile capire cosa stesse pemsando di quel luccichio della mia pelle. Era come pietrificata. Di paura? In realtà non sembrava impaurita, al contrario – forse era solo ciò che volevo – pareva esserne affascinata.
“Sembra che la tua pelle sia formata da miliardi di diamanti” sussurò a malapena.
Mi tranquillizzai e mi sdraiai sulla soffice erba, che si piegò sotto al mio peso, rimodellandosi attorno a me. Sbottonai la camicia e mi lasciai andare alla tranquillità di quel posto, che adesso sembrava quasi diventare incantato, per la magia che avvolgeva me e Bella.
Lei si sedette vicino a me, rannicchita con il mento sulle ginocchia, e mi fissava.
Chiusi gli occhi, e iniziai a ricordare una vecchia canzone che mia madre usava cantarmi quando da bambino mi portava nei boschi vicino a Chicago:
Quo quidem motu Sol, Luna, et astra caetera oriuntur, occidunt, et revolutiones perficiunt quotidie. Alter vero motus fit ab occasu in ortum super axe, polisque obliqui circuli, qui zodiacus dicitur: per cuius semitam Sol, et astra caetera non iisdem temporum spaciis deferuntur.
La melodia che accompagnava quelle parole era dolcissima, e il latino gli aggiungeva un non so che di mistico. Mia madre era stata una persona colta, insegnante di filosofia, amante della cultura greca e latina, cercava di infondermi quanta più conoscenza potesse.
“Come mai stai muovendo le labbra? Stai tremando?” interruppe quei brevi ricordi di vita umana.
“No” sorrisi “Sono spensierato e canticchiavo. Solo che tu non puoi udire un tono tanto basso”.
“Ah” rispose, e riprese a fissarmi affascinata.
Le fui grato di non aver indagato, avrebbe significato aprire una serie infinita di domande sulla mia vita passata, e non so se avrebbe potuto accettare che ormai quasi tutti i miei ricordi erano svaniti con il passare dei decenni.
Richiusi gli occhi e mi abbandonai al profumo dell’aria. Ora che lo spazio era aperto, quella magnifica essenza rilasciata dalla sua pelle si diluiva e non bruciava più forte in gola, permettendomi di apprezzare ancor di più – se possibile – quel delizioso profumo.
Udii l’aria spostata dalle dita di Bella, scivolarono sulla mia mano. Potevo toglierla, ma non lo feci, ormai oggi avevamo avuto diversi contatti simili.
Le sue dita m accarezzarono il dorso, riscaldandolo.
Aprii gli occhi, e Bella stava guardando ancora la mia mano brillante. I suoi occhi si mossero nuovamente sul mio viso e tesi le labbra in un sorriso.
“Non ti faccio paura?”chiesi scherzoso, cercando di rassicurarmi.
“Non più del solito” rispose ironica.
Sorrisi di gioia e mi rilassai nuovamente. Il suo dito iniziò a muoversi sul mio avambraccio. Quella sensazione di leggero solletico mi donava una pace straordinaria. I miei impulsi meno umani erano messi a freno, ma nuove emozioni, che da qualche settimana iniziavo a conoscere, si fecero strada e quel contatto sembrava essere una piccola risposta ai miei desideri.
La sua mano tremava, provava anche lei le mie stesse emozioni? Sono sicuro che, se avessi potuto, avrei tremato anche io al suo tocco vellutato.
“Ti dà fastiidio?” chiese preoccupata.
“No” sorrisi “Non hai idea di come mi senta” le confessai.
Mentre le sue dita continuavano a salire percorrendo il mio braccio fino al gomito, intuii che l’altra sua mano cercava la mia. Impulsivamente mossi la mia mano verso la sua, ma senza moderare la velocità. L’avevo spaventata, mi accorsi, le sue dita erano ora immobili sul braccio.
Non avrei mai pensato di riuscire a rilassarmi a tal punto da dimenticarmi di moderarmi. Non riuscivo ad essere così naturale nemmeno con i miei fratelli, in fondo ero sempre attento ad ascoltare o ad isolarli per non invadere la loro privacy. Non potevo mai semplicemente pensare, senza che Alice condividesse con me i risultati dei miei pensieri. Con Bella era differente..
“Scusa” mormorai “E’ troppo facile essere me stesso vicino a te”.
Sollevai la sua mano alla luce del sole, la sua pelle prendeva adesso delle sfumature di colori unici, più rosata in alcuni punti, perlacea in altri, era vellutata e compatta. Giravo e rigiravo la mano per non perdermene nemmeno un dettaglio. Ogni singola molecola del suo corpo irradiava una scarica di emozioni a me sconosciute
“Dimmi cosa pensi” le sussurrai “Mi sembra ancora così strano, non riuscire a capirlo”.
“Noi comuni mortali ci sentiamo sempre così, sai?” disse con ironia
“Che vita dura” rinuncerei immediatamente alla mia immortalità per poter provare di nuovo tutte quelle insicurezze umane.
“Non hai risposto” la spronai.
“Mi chiedevo cosa stessi pensando tu..”
“E?” la frase mi sembrava incompleta.
“E desideravo poter credere che tu fossi vero. E mi auguravo di non aver paura”.
“Non voglio che tu abbia paura” mi dispiacqui.
“Bè, non è esattamente quella la paura che intendevo, malgrado sia un aspetto da non trascurare”
Finalmente lo aveva capito? Ma di quale paura parlava, allora?
Mi alzai di scatto e mi avvicinai al suo viso fissandola negli occhi.
“E allora, di cosa hai paura?” chiasi serio.
Invece di allontanarsi lei si avvicinò ulteriormente al mio viso, come per annusarmi, ma anche il mostro la annusò e adesso la forza per mantenere quella distanza veniva a mancare. Il mostro si era impossessato di me, delle mie reazioni. In un istante lo sconforto mi avvolse, vidi avverarsi le previsioni di Alice, potevo quasi sentire i miei denti che affondavano nella sua morbida carne, in quel collo incredibilmente vicino, con l’arteria che pulsava il suo sangue caldo nella mia bocca. Era davvero finita? Avrei ucciso il mio amore? L’immagine mi fece quasi rabbrividire e bastò a farmi riprendere il controllo. O quasi. Ero balzato ad una decina di metri di distanza da lei, i miei muscoli rigidi come roccia scolpita.
Bella non fece in tempo a rendersi conto della mia reazione e alzò lo sguardo per cercarcarmi, con un’espressione scioccata e insieme addolorata.
“Mi.. dispiace..Edward” quasi balbettò con un sussurro appena udibile persino per me.
Io rimasi immobile, cercando di recuperare la forza e il coraggio di avvicinarmi di nuovo.
“Dammi solo un momento” la pregai.
Appena ritrovai la forza di muovermi, mi avvicinai a passi lenti, per rassicurarla, ma lasciai che qualche metro di distanza ci dividesse. Il mostro era ancora troppo sveglio.
Inspirai profondamente due volte, lasciando che il suo odore ardesse la mia gola, quasi per punirmi di quei pensieri che mi avevano attraversato la mente, e soddisfatto del rinnovato autocontrollo mi sdraiai e le sorrisi.
“Mi dispiace tanto. Capiresti cosa intendo se ti dicessi che la carne è debole?”.
Bella annuì, mantenendo la sua espressione triste. Mi fissava, potevo finalmente leggere la sua paura negli occhi, ma era immobile, quasi incantata da me. Respirava profondamente, quasi a cogliere il mio odore. Era affascinata dal pericolo.
Provai a spiegarle, amareggiato, cosa le stava accadendo:
“Sono il mioglior predatore del mondo, no? Tutto di me ti attrae: la voce, il viso, persino l’odore.”.
“Come se ce ne fosse bisogno!” scattai in piedi, mentre stavo quasi urlando, arrabbiato con me stesso.
Iniziai a correre, sapendo che non sarebbe riuscita più a vedermi, poi tornai sotto l’albero che vi aveva nascosto dalla luce e mi fermai, affinchè potesse vedermi.
“Come se tu potessi sfuggire” affermai con cattiveria, un ghigno maligno sul mio viso.
Afferrai, in preda ad una specie di frenesia, il primo ramo che mi capitò tra le mani e lo scagliai contro un altro abete, contro il quale si sbriciolò.
Adesso desideravo davvero spaventarla. Se era decisa ad amarmi, doveva sapere cosa si celava dietro alla mia apparenza.
“Come se potessi combattere ad armi pari” aggiunsi, dopo la dimostrazione, questa volta il mio tono si fece più delicato, avevo razionalizzato il mio intento e potevo leggere nei suoi occhi che, questa volta, avevo raggiuto l’effetto desiderato. Aveva davvero paura.
Aveva troppa paura, mi ero spinto troppo oltre. Adesso temevo di perderla. Sarei tornato solo, come ero stato nell’ultimo secolo. Ma ancor peggio, avrei sofferto un amore, l’unico amore, per l’eternità.
“Non avere paura” sussurai attento al tono della mia voce.”Prometto.. giuro che non ti farò del male” cercai di rassicurarla, o forse di convincere me stesso.
“Non avere paura” le ripetei, mentre mi avvicinavo a lei, attento a tutti i movimenti del mio corpo, facendo attenzione che il mostro continuasse a dormire.
Mi sedetti e lentamente avvicinai il mio volto al suo. Pochi centimetri ci separavano, ma se non mi avesse più sorpreso, ero sicuro di poter gestire anche quella lieve distanza.
“Per favore, perdonami” la pregai. “Sono capace di controllarmi. Mi hai preso in contropiede. Ma adesso sarò mpeccabile”.
Non ebbi risposta. Bella sembrava una statua di cristallo, pronta a spezzarsi al mio primo sospiro.
“Sul serio, oggi non ho così tanta sete” le strizzai l’occhio, cercando di cambiare la direzione dei nostri umori.
Rise debolmente.
“Stai bene’” le chiesi dolcemente mentre le offrivo la mia mano.
Accettò la mia offerta e riprese a giocherellare col dito sul dorso della mano. Finalmente alzò lo sguardo, accompagnato da un sorriso sincero.
Le sorrisi a mia volta. Non averei sperato veramente nel suo perdono. Avevo paura di avere oltrepassato il limite. Me lei era sempre pronta a superare ogni mia escandescenza.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Mag 31, 2009 10:26 pm

“Cosa stavamo dicendo, prima che mi comportassi in maniera così sgarbata?” chiesi con voce gentile.
“Sinceramente non ricordo”.
Sorrisi per celare l’inevitabile imbarazzo per la scenata che avevo appena concluso.
“Credo che stessimo parlando di ciò che ti mette paura, a parte le ragioni più ovvie” le ricordai, ancora curioso.
“Ah sì” si limitò a dire.
“Allora?” insistetti.
Non rispose, ma rincominciò a creare disegni astratti sulla pelle della mia mano. I secondi sembravano interminabili. Strano avere la percezione dei secondi, quando per me non contavano più nemmeno gli anni, prima di conscere lei. Cercavo di trattenermi dal starle così vicino. Ma il suo delicato tocco mi faceva desiderare di avvicinarmi sempre di più, di poterla sfiorare a mia volta, di sentire quella pelle calda e invitante sul palmo delle mie mani, di sentire il suo corpo sul mio, le labbra, quelle splendide labbra rosa, appoggiarsi alle mie e modellarsi assieme, i nostri respiri che si confondevano…
“Come è facile vanificare i miei sforzi” pensai ad alta voce.
La guardai negli occhi, e il mio cuore immobile, sembrò sussultare.
“Avevo paura perché.. per, ecco, ovvi motivi, non posso stare con te.Ma d’altro canto vorrei stare con te molto, molto più del lecitò” confessò, senza alzare lo sguardo dalle sue mani.
Adesso il mio cuore era decisamente umano, sono certo di averlo sentito battere. Non poteva essere altrimenti. Non potevo avere reazione diversa. È vero, sapevo già cosa provava, ma lo aveva inconsciamente confessato, ma adesso mi stava dichiarando molto, molto di più. Troppo.
“Sì” iniziai a parlare facendo molta attenzione alla scelta delle parole. “Non c’è dubbio, è una paura legittima, voler stare con me. È tutto fuorchè una scelta vantaggiosa” non potrai mai avere un rapporto normale con me… mi rattristai.
Il suo sguardo torvo non si staccava dai miei occhi.
“Avrei dovuto lasciarti perdere molto tempo fa” sospirai. “Dovrei lasciarti adesso. Ma non so se ci riuscirei” non avevo la forza di sopravvivere lontano da lei.
“Non voglio che tu mi lasci”mi pregò abbassando lo sguardo.
“Il che è precisamente la migliore ragione per andarmene. Ma non preoccuparti, sono una creatura essenzialmente egoista. Desidero troppo la tua compagnia per comportarmi come dovrei” mi infuriai con me stesso alla mia dichiarazione.
“Ne sono lieta” rispose.
“Non esserlo!” dissi aspramente e ritrassi la mia mano dalla sua. “Non è solo la tua compagnia che amo! Non dimenticartelo mai. Non dimenticare mai che sono più pericoloso per te che per chiunque altro” le ricordai, con un tono che speravo amplificasse il mio avvertimento.
“Non credo di aver capito cosa intendi, specialmente l’ultima frase” mi rispose.
Mi mancavano le parole per spiegarle cosa intendessi. Come potevo farle capire che non c’era al mondo odore che potesse stimolare maggiormente i miei istinti di predatore? Come potevo non terrorizzarla, dicendo che dentro di me c’era un mostro che altro non desiderava se non il suo sangue?
“Come faccio a spriegartelo senza metterti di nuovo paura.. vediamo” cercai di concentrarmi per pensare ad un buon paragone, qualcosa che la aiutasse a capire.
Mi accorsi che mi aveva preso nuovamente la mano e il suo calore la riscaldava, riscaldando anche il mio cuore ghiaccio.
“E’ straordinariamente piacevole il calore” sospirai.
Immaginai un modo dolce di spiegarle i miei istinti “Hai presente, i gusti delle persone? Ad alcune piace il gelato al cioccolato, ad altre la fragola?”
Annuì.
“Scusa l’analogia con il cibo, non trovo metafora migliore” speravo di non averla spaventata a quel pensiero.
Mi sorrise imbarazzata, ma almeno non terrorizzata.
“Vedi, ogni persona ha un suo odore, un’essenza particolare. Se chiudessi un alcolizzato in una stanza piena di lattine di birra sgasata, le berrebbe senza badarci. Se invece fosse un alcolista pentito, se decidesse di non berle, potrebbe riuscirci facilmente. Ora, se poniamo nella stanza un solo bicchiere di liquore invecchiato cento anni, il cognac migliore, il più raro di tutti, che diffonde ovunque il suo profumo…. Come credi che si comporterebbe il nostro alcolizzato?”
Mi guardò fissa negli occhi, senza parlare, cercando di cogliere l’analogia. Dal suo sguardo capii che riusciva ad afferrare il concetto, ma restava ancora titubante. Avevo bisogno di una metafora più forte. Un’immagine di debolezza migliore, per spiegare cosa il mio mostro volesse da lei.
“Forse non è la metafora migliore. Forse rifiutare il cognac sarebbe facile. Forse dovrei trasformare il nostro alcolista in un eroinomane” provai a spiegare.
“Cioè, vorresti dirmi che sono la tua qualità preferita di eroina?” disse, capendo perfettamente il concetto.
“Ecco, tu sei esattamente la mia qualità preferita di eroina” le confermai.
“Succede spesso?” mi chiese curiosa, quasi lusingata.
Non sapevo, le avrei detto ciò di cui ero a conoscenza “Ne ho parlato con i miei fratelli, secondo Jasper, siete tutti uguali. È stato l’ultimo a unirsi alla nostra famiglia e l’astinenza lo fa soffriree ancora molto. Non ha ancora imparato a distinguere tra i diversi odori e sapori” mi ero lasciato andare troppo.
“Scusa” mormorai con imbarazzo per quella spiegazione troppo dettagliata.
“Non importa, ti prego, non preoccuparti di offendermi, di spaventarmi o di qualsiasi altra cosa. È il tuo modo di ragionare. Riesco a capire, o perlomeno posso provarci. Però, ti prego, spiegami tutto come puoi”.
Non smetteva mai di sbalordirmi con la sua calma e con i suoi tentativi di accettare una realtà così incomprensibile e temibile. Voleva solo capire. Alzai gli occhi verso il cielo, notando come il sole avesse iniziato ad abbassarsi. Respirai profondamente il suo odore. No, senza alcun dubbio non avevo mai provato nulla di simile prima d’ora.
“Perciò Jasper non ha saputo dirmi con certezza se gli sia mai capitato di conoscere qualcuna che fosse..” come potevo spiegarmi, di nuovo, senza ferirla, ma soprattutto facendole capire quanto mi attirasse a se’, in ogni singolo modo pensabile? “attraente come tu sei per me” conclusi. “Il che mi fa ritenere che non l’abbia mai conosciuta. Emmett è dei nostri da più tempo, per così dire, e ha capito cosa intendevo. A lui è capitato due volte, una più forte dell’altra” mi rabbuiai al pensiero di come andò a finire per lui.
“E a te?” domandò, curiosa, come se mi stesse chiedendo di amori passati.
“Mai”
“Come si è comportato Emmett” chiese purtroppo.
Non avevo il coraggio di confessarglielo. Mi irriggidii e mi rabbuiai di nuovo. Non potevo dirglielo. Guardai verso la foresta, cercai di distrarmi pensando al nostro ritorno. Chissà se avrebbe apprezzato il mezzo di trasporto… Ma l’immagine che avevo letto nei pensieri di Emmett continuava a perseguitarmi, non voleva lasciare la mia mente.
“Credo di aver capito” concluse.
Guardai il cielo, cercando un’immagine che mi distraesse da quella tragedia.
“Anche i più forti di noi possono smarire la strada, no?” risposi, come se questa potesse essere una giustificazione convincente. Di certo per me non lo era.
“Cosa stai chiedendo? Il mio permesso?” borbottò pungente. “Voglio dire, non c’è proprio speranza, allora?” continuò con una calma innaturale. Riusciva a discutere della sua morte con il suo possibile carnefice. Mi stava forse autorizzando a rischiare? Mi stava chiedendo delle conferme che non potevo in alcun modo darle? Secondo Alice non c’era speranza, ma io avrei cambiato il futuro. Avevo bisogno di sperare, di crederci.
“No, no! Certo che c’è speranza! Voglio dire, è ovvio, non…” Non posso prometterlo.. è questo chele avrei detto? La guardai dritta in quegli occhi da cerbiatto “Per noi è diverso” mi corressi “Emmett… quelle erano sconosciute, incontrante per caso. È accaduto tanto tempo fa, e lui non era… allenato e attento come ora” provai a rassicurarla.
Attesi la sua risposta, provando a leggere i suoi occhi, per capire la sua reazione. Ma non tradiva alcuna emozione, non finchè parlò.
“Perciò, se ci fossimo incrociati… in un vicolo buio, o qualcosa del genere…” la sua voce si ruppe in un lieve sussurro.
“Mi ci è voluta tutta la forza che avevo per non assalirti durante la prima lezione, in mezzo agli altri ragazzi e…” guardai verso la forsesta, vergognandomi delle mie stesse affermazioni “Quando mi sei passata accanto, ho rischato di rovinare in un istante tutto ciò che Carlisle ha costruito per noi. Se non avessi messo a tacere così a lungo la mia sete negli ultimi, bè, troppi anni, non sarei riuscito a trattenermi” sprofondai nel panico al ricordo della sete del primo giorno, del mostro che pinificava alla perfezione come uccidere Bella e con lei tutte le innocenti anime che avessero assistito. Ricordai l’odio che mi accecava. Come avevo mai potuto odiare Bella?
“Avrai creuto che fossi posseduto dal demonio” la guardai torvo.
“Non riuscivo a capire come potessi odiarmi così, e perché poi, dal primo istante…”.
“Ai miei occhi eri una specie di demone, sorto dal mio inferno privato per distruggermi. L’ odore soave della tua pelle.. Quel primo giorno ho temuto di perdere definitivamente la testa. In quella singola ora ho pensato a cento maniere diverse di portarti via dall’aula, di isolarti. E mi sono opposto a tutte, temendo le consegunzze che avrebbero colpito la mia famiglia. Dovevo scappare, andarmene prima di pronunciare le parole che ti avrebbero obbligata a seguirmi….” La guardai intesamente negli occhi, per vedere la sua reazione a tutta la mia confessione di colpevolezza.
Era sconcertata.
“Mi avresti seguita, te lo garantisco” cercai di spiegarle il potere che avevo di influenzare le menti degli umani.
“Senza dubbio” rispose con apparente calma.
Continuai a raccontarle tutta la storia, tutto ci che era accaduto in quei primi giorni: lei che piombava in segretera, la mia corsa da Carlisle, la fuga dalla mia debolezza, l’Alansk - trattenndomi dal raccontarle, in preda alla vergogna e disgusto per me stesso, di quanto sciocco fossi stato a non pensare ai sentimenti di Tanja - la malinconia, il rinnovato coraggio
Avevo visto Bella rabbrividire più volte davanti alla consapevolezza del periocolo che l’aveva sfiorata. I suoi occhi, a tratti, cambiarono espressione: cuirosità. Altre vote, le peggiori di tutte, mi compativa. Non tolsi lo sguardo dal suo viso nemmeno per un momento, sebbene quelle dichiarazioni mi facessero vergognare di quanto debole in realtà fossi.
. Adesso sapeva tutto. Era perfettamente a conoscenza del pericolo che ho costituito per lei. Ma non era più così, ormai mi ero abituato. Ora potevo gestire la sua vicinanza. Ma la scelta spettava unicamente a lei. Mi sarei fatto da parte, se solo me lo avesse chiesto.
Continuai con la spiegazione, la mia ossessione verso di lei, causata dal fatto che non potevo leggerle il pensiero, il mio ricorso a Jessica e Mike, la mia scleta, o meglio, istinto di salvarla dall’essere schiacciata nell’incidente…
Lo sguardo di Bella sembrava perso nel vuoto, intimorito e affascinato, senza dubbio curioso. Pieno di vergogna le raccontai delle conseguenze della mia azione, del litigio con Jazz, Rose ed Emmett, di come li avessi messi in pericolo. Di come avessi dubitato di lei, e avessi ascoltato le menti di tutta la scuola in attesa di sentire qualche pettegolezzo sull’accaduto. Infine, sentii il bisogno di rassicurarla, dovevo darmi una possibilità. Le spiegai anche che mi sarei fatto meno problemi a rovinare la mia famiglia quel primo giorno, piuttosto che farle del male adesso.
Finalmente Bella parlò: “Prechè?” mi chiese, come se non fosse ormai ovvio.
“Isabella” diventai formale, e le mossi i suoi splendidi capelli castani, con i riflessi rossi, “arriverei ad odiare me stesso, se dovessi farti del male. Non hai idea di che tormento sia stato… l’idea di te.. immobile, bianca, fredda… di non vederti più avvampare di rossore, di non poter cogliere più la scintillanel tuo sguardo, quando capisci che ti sto prendendo in giro… non sarei in grado di sopportarlo” La fissai angosciato da quelle immagini che continuavano ad appaire nella mia mente.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Mag 31, 2009 10:27 pm

“Ora sei la cosa più importante per me. La cosa più importante di tutta la mia vita”. Fui sicuro che se solo avessi potuto, sarei arrossito alle mie parole. Il mio cuore avrebbe accellerato il battito all’impazzata, se fosse stato qualcosa di più di una pietra. Forse una lacrima sarebbe scesa dall’emozione.
Bella non alzò lo sguardo, che era fisso sull’intreccio delle nostre mani.
“Sai già cosa provo, ovviamente” rispose “Sono qui, il che in due parole, significa che preferirei morire, piuttosto che rinunciare a te. Sono un’idiota”
“Cos il leone si innamorò dell’agnello” sussurai..
“Che agnello stupido” sospirò
“Che leone pazzo e masochista” continuai.
Pazzo, a rischiare le nostre vite, che ormai erano inesorabilmente legate l’una all’altra; masochista, perché stare vicino a Bella, significava soffrire.. soffrire per tutto ciò che non potevamo condividere, per tutte le esperienze unicamente umane che non avrebbe vissuto, stando con me.
“Perché…” si interruppe
“Si?” le sorrisi
“Dimmi perché prima sei fuggito in un lampo da me”
Non era forse ovvio? Il mostro avrebbe avuto la meglio se non mi fossi allontanato... “Lo sai perché”
“No, voglio dire, cosa ho fatto di preciso?”
Le spiegai che il problema riguardava i suoi movimenti improvvisi, inaspettati, la sua vicinanza, specialmente del collo, sprigionava un calore e un profumo irresistibili e non poteva cogliermi impreparato, se desiderava sopravvivere.
“D’accordo, niente collo scoperto” riuscì a scerzare, facendomi ridere.
La sfidai e avvicinai lentamente la mia mano al suo collo. La appoggiai lentamente, con attenzione, e potevo sentire sotto la sua pelle il sangue che scorreva. La gola si infuocò, ma il mostro rimase a bada. Ero in grado di toccarla, di sfiorare quella pelle, che pensavo fosse il mio frutto proibito. Decisi di vedere fino a che punto potessi spingermi senza metterla in pericolo. Desideravo il contatto con il suo corpo più di ogni altra cosa.
“Vedi? Nessun problema!” Iniziai a rassicurarla.
Il suo cuore batteva così forte che temevo potesse avere un infarto. Aveva smesso di respirare da qualche secondo ed ero allarmato. Appena la sentii respirare di nuovo, le sussurai di restare ferma. Bella obbedì, sebbene paresse già paralizzata da prima.
Con estrema attenzione e lentezza mi avvicinai a lei, feci dei brevi respiri, inalando quell’odore… quel profumo che mi faceva così male in gola, ma mi rendeva felice come non mai. Sentivo il suo fiato arrivare alla mia bocca, era caldo e profumato, il respiro veloce e incostante. Decisi di avvicinarmi ulteriormente. “Non muoverti” le ribadii. Feci svivolare la mia guancia lungo il suo collo, sulla gola. Non osai più respirare, ero troppo vicino, Lentamente le mie mani scivolarono sul suo collo, mentre la mia bocca si spostava sulle sue spalle. Il suo cuore sembrva impazzito. Contrastava con l’immobilità del resto del corpo, Bella sembrava una di noi, per quella capacità di non muovere nemmeno un muscolo per un periodo così prolungato. Laciai scivolare il mio viso sul suo petto, dove potevo ascoltare quel ritmo irregolare, che sembrava quasi suonare per me. Rimasi in quella posizione a lungo, sentivo il cuore stabilizzarsi, per poi rincominciare a battere fuorioso, forse al ricordo di qualche immagine che le avevo appena descritto. Avrei passato in quella posizione il resto della mia esistenza. Sospirai.
Decisi che, quella che era stata la prova cruciale, era stata superata a pieni voti. Mio malgarado decisi di alzarmi. Adesso ero davvero sereno. Le avevo svelato tutto. Lei mi aveva accettato. Aveva accolto la mia vicinanza, ed io ero stato tanto forte da resistere al richiamo del suo collo.
“Non sarà più difficile” dissi con soddisfazione.
“E’ stata dura?” Si preoccupò
“Non terribile come immaginavo. E per te?” chiesi.
“No, niente affatto terribile…. Per me”.
La pelle del mio viso a contatto con il suo corpo si era riscaldata. Avvicinai la sua mano, che sfiorò delicatamente il mio viso. Adesso mi guardava a bocca aperta, più che sorpresa, sembrava soddisfatta.
“Resta lì” sussurrò. E io mi trasformai in una statua. Chiusi gli occhi, facendo attenzione allo spostamento d’aria causato dai suoi gesti. Non potevo permettermi di farmi cogliere di sorpresa. Bella iniziò ad accarezzarmi, sfiorò ogni parte del mio viso, lasciando per ultime le mie labbra. Il tocco bollente dei suoi polpastrelli infuocò il mio corpo, mi sentivo vibrare dall’emozione. Quando giunse alle mie labbra, automaticamente le schiusi, come per permetterle di sfiorarle meglio. Non riuscivo più a gestire la situazione e decisi di aprire gli occhi, per aiutarmi con qualche senso extra.
“Vorrei… vorrei sentissi la complessità… la confusione… che provo. Vorrei potessi comprendere”. Le spiegai come sentissi sete di lei, ma di come a quella sete si fosse aggiunta quella nuova, latente, sensazione, una fame difficile da interpretare. Più forte di qualunque dipendenza, più forte di qualunque emozione, più forte di qualsiasi desiderio. Mi sentivo più umano che mai, ma non ero sicuro che un umano avrebbe potuto provare le stesse sensazioni con la medesima intensità con cui le percepivo io.
“Non so come fare a starti accanto in questo modo” ammisi “Non sono sicuro di esserne capace”.
Bella si avvicinò lentamente a me e pose il suo viso sul mio petto. Come se fosse il gesto più naturale, le strinsi intorno le mie braccia, facendo attenzione all’intensità del movimento, e mi abbandonai ad un altro interminabile e insieme troppo breve abbraccio.
“Sei molto più bravo di quanto tu voglia credere” mi incoraggio.
Ed effettivamente oggi avevo scoperto che da qualche parte, anche se erano stati a lungo sepolti, c’erano degli istinti ancora totalmente umani, che si facevano strada per riaffiorare.
La luce stava calando e Bella doveva rientrare. Decisi di mostrarle una delle mie poche abilità ancora nascoste,
“Posso mostrarti il modo in cui io mi sposto nella foresta?” nascosi un ghigno, conoscendo la sua riluttanza verso le alte velocità.
“Ti trasformi in un pipistrello?” ironizzò. Ma forse avrebbe preferito.
Non potei trattenere una risata “Questa l’ho già sentita!”.
La invitai a saltare in spalla e appena fu salda iniziai a sfrecciare per la forsesta, schivando gli alberi ad una velocità impensabile per un essere umano. Per me il sottobosco scuro era in realtà nitido, l’aria mi accarezzava dolcemente il viso, e scendeva fresca nei miei polmoni. Osservavo le piccole foglie verdi degli alberi, le loro striature, i piccoli insetti che li abitavano. Mi sentivo un tutt’uno con la natura.
Mi ero quasi dimenticato di avere Bella in spalla. Mi fermai “Elettrizzante eh?” dissi con entusiasmo, ma Bella non rispose ed esitò a scendere dalle mie spalle. Le sue braccia e le gambe avvingiate attorno al mio corpo sembravano pietrificate, immobili nella loro presa sicura.
“Bella?” Mi preoccupai dell’assenza di reazioni.
“Credo di dovermi sdraiare” sussurrò.
Risi della sua reazione. Non era sempre facile ricordarsi come da umani la vista fosse lenta ed oscurata. Non era stata un grande idea.
Cercai, con qualche consiglio, di aiutarla a riprendere le forze e a recuperare l’equilibrio. Aveva una pessima cera.
“Sei pallida come un fantasma” la presi in giro “Anzi, sei pallida come me” ironizzai.
Pian piano la sua pelle stava riprendendo colore ed iniziai a stuzzicarla sottilineando le mi capacità.
“Spaccone” mi ripetè più volte, contanta di far parte di quel gioco, di poter scherzare sulla mia natura, sul mio mondo.
Ormai mi sentivo così sicuro e in sintonia con lei, che decisi di cedere alla più forte delle mie tentazioni. Decisi di provare la più umana delle esperienze. Ormai avevo sconfitto il mostro e non avevo più motivi di privarmi di quella esperienza unica e indimenticabilmente nuova.
“Pensavo a una cosa che vorrei provare” le sussurai prendendo il suo viso tra le mani.
Bella smise di respirare.
Esitai un istante, cercando di recuperare tutto il mio autocontrollo,
Mossi il mio viso verso il suo, lentamente, e appoggiai le mie fredde labbra marmoree sulle sue. Le sentii scottare dal calore, le sue labbra si stavano modellando sulle mie. Era l’emozione più forte della mia lunga esistenza. Non avevo mai sentito il mio corpo desiderare qualcosa a tal punto. La mia mente era frastornata da quella sensazione fortissima, più potente di qualunque magia.
Il suo battito era accellerato, il respiro affannato. Sentii intrecciarsi le sue dita ai miei capelli, le sue labbra si dischiusero e il calore e il profumo del suo fiato inebriarono il mio respiro.
Il mostro si era svegliato! Strinsi i pugni e immobilizzai ogni mio singolo muscolo. Il suo sangue aveva un richiamo irresistibile. Riapparve l’immagine che Alice mi aveva mostrato.
Recuperai tutte le mie forze per resistere all’istinto ed allontanare il suo viso con delicatezza. Mi allontanai di qualche centimetro, pietrificato, cosciente del pericolo che avevamo corso.
“Ops” fu la risposta di Bella.
“Ops è troppo poco” mi infuriai.
“Devo?” cercò di allontanarsi per lasciarmi spazio, ma la tenevo imprigionata dal mio sguardo,
Dovevo resistere, non volevo allontanarmi, dovevo solo recuperare il controllo. Quel momento perfetto non poteva perdersi così.
“No, è sopportabile. Per favore, aspetta un attimo” le chiesi calmo.
Attesi di sentire il mio istinto - quello del mostro - cedere il passo al desiderio umano, ma non per questo più razionale.
“Ecco” dissi soddisfatto.
“Sopportabile?” si preoccupava per me.
Risi di felicità “Sono più forte di quanto pensassi. È una bella notizia”.
Mi alzai in piedi e con naturalezza le porsi una mano per darle un appoggio. Ormai il contatto tra di noi non era più un taboo.
Presi le chiavi del pick-up e la convinsi a lasciarmi guidare fino a casa. Dopo la fatica che mi era costata per mantenerla in vita, non avrei di certo potuto permetterle di metterla a rischio lasciandola guidare.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Gio Giu 18, 2009 9:18 am

Capitolo 15 - Ragione e Istinto

Guidavo prestando poca attenzione alla strada, in fondo i miei sensi sviluppatissimi mi concedevano di concentrarmi su altro e di certo non avrei mai perso l’occasione di spiare Bella, con i capelli arruffati dal vento. Il suo volto era finalmente sereno: si era rassegnata a lasciarmi guidare, ma si era ora anche tranquillazzata, grazie alla stabilità della mia guida e, purtroppo, anche alla lentezza alla quale il pick-up mi costringeva. Il sole era quasi giunto al termine del suo corso quotidiano. La sua magnificenza ingoiava il mio sguardo: si era trasformato in un luminoso gigantesco rubino, che splendeva basso nel cielo, pronto ad essere rubato dal nero della notte. Era tanto tempo che non mi soffermavo sulla sua bellezza. Oggi, decisamente, niente più sembrava scontato. Non esisteva nulla di quotidiano o noioso, il mio mondo era tutto da riscoprire.
Tornai a sbirciare Bella, il suo volto disteso, la sua felicità leggibile negli occhi.. anche il suo mondo doveva essere cambiato.
L’impossibile aveva superato il confine del lecito, e, sebbene sapessi che la mia irruzione in quella candida vita non avrebbe portato a null’altro che all’inferno, sapevo che almeno la strada che mi ci portava sarebbe stata molto piacevole.
Sovrappensiero accesi l’autoradio, sintonizzata sul mio canale preferito, musica degli anni ‘50… la migliore! La radio passava i Comets – Crazy man crazy – un ritmo rock travolgente.. si intonava perfettamente al mio umore allegro… Mi sentivo leggero ed estremamente carico di energie, avrei volentieri ballato a quel ritmo, ma Bella non ne sarebbe stata entusiasta.
Non mi ero nemmeno accorto di canticchiare, quando Bella mi interruppe:
“Ti piace la musica dei Cinquanta? Chiese curiosa come sempre.
“La musica degli Cinquanta era buona. Di gran lunga meglio che nei Sessanta e nei Settanta! Roba da brividi. Gli anni Ottanta erano sopportabili” le spiegai.
“Conoscerò mai la tua vera età?” chiese titubante… sapevo di non poter fuggire a lungo alle sue curiosità sul mio passato. Ma era così importante saperlo? Non le bastava sapere chi ero adesso?
“Importa qualcosa?” le sorrisi.
“No, ma me lo chiedo spesso… sai, non c’è niente di meglio che un bel mistero irrisolto per trascorrere la notte insonne”.
Ne sapevo qualcosa, benchè il sonno non fosse uno dei miei problemi. Sapevo cosa volesse dire pensare e ripensare a qualcosa a cui non si poteva dare una risposta. Diventava un’ossessione, come la mia nei comfromti della sua mente slenziosa. Ma chissà come avrebbe reagito sapendo quanti anni avevo veramente, ero persino più vecchio di suo nonno, e sicuramente questa rivelazione non sarebbe passata lasciandola indifferente.
“Chissà se ne rimarresti sconvolta…” domandai tra me e me.
“Mettimi alla prova” provò a sfidarmi.
Sospirai, chissà quella risposta quante altre domande avrebbe ispirato? Avrei dovuto confessare ricordi che non avrei voluto rimembrare, ma avrebbe anche forse riacceso qualche immagine che avevo perso nei decenni. Quella speranza e l’inimità che ormai si era creata, mi spinsero a rispondere.
“Sono nato a Chicago nel 1901” dissi.
La guardai con la coda dell’occhio, per capirne la reazione, ma sembrava impassibile a quella rivelazione. Non proferì parola, probabilmente si aspettava che continuassi con la storia della mia vita, senza però voler ssere invadente con domande che potessero ferirmi.
“Carlisle mi trovò in ospedale nell’estate del 1918. Avevo diciassette anni e stavo morendo di Spagnola” continuai, senza smettere di cercare una qualche reazione. Al pensiero della mia morte ebbe un lieve sussulto, il suo cuore fece un tonfo e morì con me per un instante.
“Ho qualche ricordo vago.. è stato tantissimo tempo fa, e la memoria umana tende a svanire”. Il volto di mia madre era così sbiadito nei ricordi, ne restava un’immagine quasi priva di lineamenti. Ma la sua voce era ancora chiara, sebbene si trattasse di poco più di un sussulto, mentre, in punto di morte, pregava Carlisle di salvare la mia vita.
“Però ricordo bene quello che provai quando Carlisle mi salvò. Non è una cosa facile; è impossibile da dimenticare” lo sguardo di Carlisle mentre mi mordeva, ancora più spaventato e confuso di quanto lo fossi io.. e poi la nebbia che avvolse i miei occhi, mentre il corpo iniziava a bruciare sotto il fuoco del suo veleno.
“E i tuoi genitori?”
“Erano già stati uccisi dal morbo” risposi facendo attenzione a non aggiungere altri dettagli “Ero rimasto solo. Per questo Carlisle scelse me. Nel caos dell’epidemia, nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa”.
“Come…. ha fatto a salvarti?”
Come era possibile spiegarle la nostra sete, la difficoltà a fermarsi.. il dolore inimmaginabile che ho provato.. Attesi un istante per trovare le parole giuste.
“Fu difficile. Pochi di noi possiedono l’autocontrollo necessario a un atto del genere. Ma Carlisle è sempre stato il più umano, il più compassionevole di tutti… non credo abbia eguali nella storia. Quanto a me…” Interruppi per un settimo di secondo la mia spiegazione.
A differenza degli umani noi con la memoria potevamo rivivere anche il dolore, che rimaneva vivo dentro di noi, faceva parte della nostra eterna dannazione. Solo un essere privo di anima poteva essere sottoposto ad un tale supplizio. Non solo il ricordo fisico restava impresso, ma anche quello mentale. Forse proprio per questa nostra caratteristica a volte Bella sembrava non capire certe mie reazioni di puro dolore. Attraverso le immagini di Alice, io avevo provato la sensazione più straziante della mia esistenza. Non importava che il futuro non fosse ancora stato vissuto.
“..fu qualcosa di semplicemente doloroso. Molto doloroso” mitigai.
Cercai di mostrarmi calmo, sebbene le mie labbra si fossero increspate al ricordo di quel fuoco. Fortunatamente apparteneva maggiormente alla sfera umana del mio passato e pertanto la sensazione delle fiamme che iniziarono a bruciarmi dentro, fu alleviata. Ma se non potevo provarlo fisicamente in modo altrettanto intenso, la mia memoria era a questo riguardo molto più nitida rispetto a qualunque altro ricordo.
Ricordai come una piccola pallina di fuocò avesse avvampato nel mio collo, iniziando a circolare nel mio sangue e facendomi sentire la mia circolazione mentre andava a rallentatore, colpendo e bruciando ogni molecola del mio corpo. Avevo avuto persino la percezione dei miei organi interni… fu la prima volta, e anche l’ultima, che ebbi una percezione reale del mio cuore.
Lessi negli occhi curiosi di Bella che si stava trattenendo dal farmi altre domande sulla mia trasformazione. Le spiegai cosa spinse Carlisle a scegliere me, come salvò Esme, e come Carlisle decidesse di trafsormare solo coloro che non avevano più nessuna possibilità. Mi chiese di Rosalie ed Emmett e le spiegai, dubbioso, di come Carlisle avesse sperato che Rose avesse rappresentato per me ciò che Esme era per lui. Ma per me non era mai stata niente più che una sorella. In fondo era la persona – l’essere - più vanitoso e superficiale che avessi mai conosciuto. Talvolta non mi capacitavo di come tra lei ed Emmet ci potessere essere un amore tanto ipnotico, così profondo. Mi era capitato più di una volta di osservarli, catturato dall’invidia. Il loro sguardo sembrava estendersi oltre ai loro stessi occhi, andava oltre ad una comprensione reciproca e totale dei loro pensieri, guardandoli riuscivo quasi a credere che avessero un’anima, che ormai si era fusa diventando un tutt’uno. Fu Rose a trovare Emmett: era stato squartato da un orso e lei corse per kilometri per portarlo a Carlisle affinchè lo salvasse. Dal primo istante in cui si guardarono negli occhi, la fusione delle loro anime si completò. Sorrisi al pensiero… non avevo realizzato mai prima d’ora come l’ossessione di Emmett per gli orsi potesse derivare da questo episodio…
Le raccontai anche di Alice e Jasper, di come avessero sviluppato una coscienza da soli, senza alcuna influenza o guida. Cercai di evitare i dettagli sul passato di Jasper, era terrorizzante persino per un vampiro. Ammiravo Jazz! Nato e cresciuto nel mondo più crudele e pericoloso che ci sia per i vampiri, aveva vissuto lunghe ed estenuanti guerre. Non sapeva dell’esistenza di un’alternativa, ma la cercò ugualmente. La trovò dopo aver vagato a lungo. La sua speranza fu Alice. Anche loro, dal momento in cui si incontrarono, divennero inseparabili. Arrivammo di fronte casa sua,spensi il motore e il silenzio calò intorno a noi. Charlie non era ancora rientrato.
Lo stomacò di Bella brontolò. Per noi era normale bere una volta alla settimana, talvolta anche meno spesso. Ma gli umani dovevano ingerire del cibo più volte al giorno. Mi vergognai quando mi resi conto di quanto in poco conto tenessi delle sue esigenze. Avrei voluto essere un vero genitluomo. Mi ero innalzato al ruolo di suo protettore. Come potevo dimenticarmi di un dettaglio così fondamentale. Come potevo proteggerla e curarla, renderla felice, vedere i suoi occhi brillare, se non ricordavo nemmeno i principi base?
“Scusami, ti ho trattenuta. Immagino tu debba cenare”.
“No, non c’è problema, davvero” diede conferma della sua totale mancanza di considerazione per le sue esigenze.
“Non ho mai passato tanto tempo in compagnia di qualcuno che si nutre di cibo. Me ne stavo dimenticando” confessai.
“Voglio restare qui con te”disse.
Ebbi di nuovo l’ impressione che il mio cuore avesse ripreso a battere,forse anche lei aveva bisogno di me quanto io di lei. Non volevo andar via,e ora sapevo che neanche lei lo voleva. Così raccolsi tutto l’autocontrollo di cui ero capace,sapevo che me ne sarebbe servito molto per non cedere alla tentazione di avvicinarmi ancora così pericolosamente a lei,e decisi di restare.
“Posso entrare?” le domandai.
“Ti andrebbe?”
La sua risposta mi stupì,come ogni suo comportamento del resto. Come poteva farmi una domanda così assurda,non aveva ancora capito che non ero in grado di stare neanche un solo minuto senza di lei? La guardai cercando di capire a cosa stesse pensando in quel momento,ma fu inutile,la sua mente era per me un mistero. Ormai mi ero spinto ben oltre ogni mia previsione,andar via in quel momento non avrebbe avuto alcun senso.
“Si,se non è un problema”le dissi.
In una frazione di secondo,forse troppo velocemente perché lei se ne accorgesse,scesi dalla macchina e lasciai che la portiera si chiudesse delicatamente. Mi avvicinai alla portiera del suo lato e la aprii .
“Molto umano direi” disse.
“Sento che certe cose stanno tornando a galla” le sorrisi.
Come avevo immaginato potesse accadere, quella vicinanza ad un essere umano - benchè Bella fosse per me così speciale da rendere difficile una tale catalogazione – stava risvegliando ricordi antichi. Ormai non dovevo fare altro che spazzare via le ragnatele che li avvolgevano maternamente, come a cullarli e preservarli, per poter rivivere le offuscate lezioni di mio padre.
Mio padre, un uomo valoroso, non perchè avesse combattutto in una futile guerra, ma proprio letteralmente aveva dei veri valori. Era sempre stato vicino alla sua famiglia, ad una moglie che amava più della sua stessa vita, e ad un figlio, che, di giorno in giorno, diventava sempre più uomo, sempre più simile a lui.
Gli assomigliavo nei modi e nelle espressioni, il mio sorriso sghembo era ciò che aveva fatto innamorare mia madre. I suoi capelli rossicci tradivano le sue origini irlandesi – Paul Dunne – non esisteva nome più tipico. Anche quelle sfumature rossastre che mi erano rimaste dopo la trasformazione portavano con se’ un immutabile ricordo di lui, eppure non avevo più pensato a lui. I suoi, i miei, occhi verdi, quasi felini invece erano stati persi.
I suoi toni nei miei confronti e in quelli di mia madre erano sempre dolci e pieni di attenzioni. Durante le nostre serate tra uomini, durante le quali sfoderava la sua immancabile pipa, boccheggiava qua e là le regole fondamentali per diventare un vero gentiluomo. Queste regole, riguardavano la morale, che doveva essere impeccabile, riguardavano la poltica, l’importanza di saper valutare gli eventi, e ovviamente le donne. Aprire la porta, cedere il passo, porgere il braccio per sorreggerle durante le passeggiate, trattarle sempre da signore, dedicare attenzioni e presentarsi sempre con un mazzo di fiori, come gestire le gioie dell’intimità…la lista era lunghissima.
Assorto da questi pensieri le camminavo a fianco, tentato di seguire uno dei tanti consigli di mio padre, ma, seppur sapessi che Bella più di tutte le persone al mondo necessitasse di un braccio di appoggio, mi trattenni per non sembrarle un nonno fuori dal tempo. E adesso che sapeva la mia età ci avrebbe forse prestato ancor più attenzione.
Di tanto in tanto sbirciavo l’espressione del suo volto con la coda dell’occhio,sembrava guardarmi come a chiedersi quando sarei sparito. Arrivammo sulla soglia di casa,mi mossi ancora una volta ad una velocità tale da rendere il mio movimento impercettibile ai suoi occhi,mi chinai, presi la chiave da sotto lo zerbino ed aprii la porta.
Rimase impietrita a guardarmi,il suo volto lasciava trasparire la perplessità che quel mio gesto aveva lasciato nella sua mente.
“Era aperta?”mi chiese.
“No,ho preso la chiave da sotto lo zerbino.”


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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Gio Giu 18, 2009 9:19 am

Mentre entravamo realizzai di aver fatto un'altra scivolata - avevo completamente abbandonato ogni forma d’apparenza con lei,non sentivo più il bisogno di nascondermi, al punto da non far più nemmeno caso a possibili errori che potessero costarmi cari.
Cosa avrei potuto dirle se mi avesse chiesto spiegazioni - e l’avrebbe fatto di certo, l’occhio attento di bella non si sarebbe di certo fatto sfuggire un errore così eclatante. Avrei dovuto dirle che entravo in casa sua tutte le notti? Come avrebbe reagito? E se si infuriasse al punto tale da decidere di mandarmi via? No! Per il momento sembrava non essersi accorta di nulla ed io di certo non le avrei detto niente. Dovevo comunque pensare al modo di spiegarle - se mi avesse scoperto - del perché entrassi tutte le notti nella sua camera per guardarla dormire. Ma come potevo spiegarle qualche cosa che io stesso non capivo? Dovevo tentare in un altro modo, avrei potuto dirle che era un modo per proteggerla, per far sì che fosse sempre al sicuro, vista la sua innaturale capacità di attirare i guai. Oppure avrei semplicemente potuto dirle la verità, ovvero che ero talmente egoista da non riuscire a stare neanche un attimo senza di lei.
L'inevitabile arrivò: Bella interruppe i miei deliri lanciandomi un'occhiata interrogativa e sospettosa. Ovviamente si stava chiedendo come sapessi dove tenesse le chiavi. Con le spalle al muro, risposi ai suoi pensieri silenziosi.
“Ero curioso…..di te” le dissi.
Mi preparai ad affrontare la sua rabbia e la sua indignazione, e cercai un modo di darle quella scomoda, ma legittima spiegazione. Stavo per dirle che avevo deciso di essere il suo angelo custode, che avevo deciso di prenderla sotto le mie ali e proteggerla dal resto del mondo che sembrava voler a tutti i costi farle del male. Poi mi fermai a riflettere. Che angelo avrei mai potuto essere per lei, se non avevo neanche un anima? Sarei stato un angelo dalle ali nere, macchiate da tutti i miei peccati, che forse un giorno mi avrebbero mandato all’inferno. Avrebbe capito? Il turbinio di pensieri che vorticavano incessantemente nella mia testa venne improvvisamente interrotto.
“Mi hai spiata?”
Il suo tono di voce non era arrabbiato e neanche indignato. Sembrava quasi contenta. La sua reazione mi fece sorridere,forse non avevo rovinato tutto.
“Cos’altro c’è da fare, di notte?” Cosa c’è di interessante? A parte cacciare qualche grizly irritato?" Ormai anche quello era diventato una banale routine.
Sembrò non far caso alla mia piccola confessione e si diresse verso la cucina. La precedetti senza esitazioni - ormai conoscevo molto bene quella casa - e mi sedetti.
Rimase a fissarmi per un secondo e poi si concentrò sulla sua cena. La guardai incuriosito per tutto il tempo, sembrava cercare di evitare il mio sguardo, mentre invece l’unica cosa che io desideravo era perdermi nei suoi occhi color cioccolato. Cominciai a ripensare a tutte le volte in cui ero entrato in quella casa senza che lei lo sapesse, al quasi batticuore - quasi perché il mio non batteva – che mi immobilizzò la prima volta che sussurò il mio nome, a come morii per la seconda volta, in preda all’estati, quando la udii confessare inconsapevole “Ti amo”
“Quante volte?”disse distogliendomi dai miei pensieri.
“Come?”
“Quante volte sei venuto qui?”
“Vengo a trovarti tutte le notti” le confessai, aspettandomi una reazione furente.
Si voltò di scatto per guardarmi,stupita.
“Perché?”
“Sei interessante quando dormi. Parli nel sonno” la stuzzicai, ormai la parte più difficile era stata detta.
“No!” sbottò.
Mi ero sbagliato. A questa dichiarazione il suo viso divenne paonazzo, sembrò perdere l’equilibrio dallo shock, o almeno quel po’ che le avevano lasciato in dotatazione. All’improvviso mi sentii triste e dispiaciuto. Non avrei mai creduto che la sua preoccupazione principale fossero i suoi dialoghi notturni. Ma era sciocco non prevederlo, sapevo che ragionava al contrario. Non importava se mi comportavo da maniaco ossessivo spiandola nel sonno, si preoccupava di ciò che avrei potuto sentire.
“Sei tanto arrabbiata con me?”le chiesi, guardandola intensamente negli occhi.
“Dipende!” mi fissò di rimando, immobile, senza proferire parola.
Ero indeciso se attendere in silenzio che continuasse, ma dovevo capire quale condizione avrebbe potuto alleviare il tormento che la stava assilando.
“Da…?” le chiesi ansioso.
“Da quel che hai sentito!” urlò.
Mi mossi ad una velocità sovraumana e in un istante fui accanto a lei. Le presi con delicatezza le mani. Ne sentivo il calore sulla mia pelle marmorea e fredda e il desiderio di avvicinarmi a lei fu irrefrenabile.
“Non esserne così sconvolta!” le dissi.
Decisi di cedere alla voglia che avevo della sua vicinanza, Mi chinai verso di lei fino ad arrivare a pochi centimetri dal suo volto. La voglia di avvicinarmi ancora di più mi assalì, ma congelai i miei muscoli in una posa statuaria, per controllarmi meglio.
“Ti manca tua madre.” Iniziai, pensando a cosa potessi censurare, pur senza mentirle.
“Sei preoccupata per lei. E il rumore della pioggia ti innervosisce. All’inizio parlavi molto di casa tua, ora lo fai più raramente. Una volta hai detto: ''È troppo verde'' ”.
Non riuscii ad evitare di sorridere, sperando di non averla offesa ancora di più di quanto non avessi già fatto.
“E che altro?” mi chiese, come se avesse intuito che avevo nascosto qualcosa di importante.
“Hai pronunciato il mio nome” ammisi, sperando che questa rivelazione bastasse.
“Tante volte?” abbassò lo sguardo, timorosa.
“Quante sarebbero precisamente ''tante'?” le chiesi divertito.
“Oh, no!” quelle poche parole, dense di tutto il suo imbarazzo, uscirono soffocate dalla vergogna.
La strinsi dolcemente al petto, in un gesto che ormai mi risultava tanto naturale quanto ad un umano. Il mio corpo ebbe un fremito, sentendo quel suo cuoricino debole rimbombare al mio contatto. Con le mani le cingevo le spalle,e sentivo i suoi capelli morbidi e fluenti sulle mie braccia.
“Non prendertela con te stessa” le dissi sussurrandole ad un orecchio.
“Se fossi capace di sognare,sognerei te. E non me ne vergogno.”
Quella piccola intimità che ci eravamo concessi fu interrotta dal rumore dei pneumatici sui sassi nel vialetto. I fari illuminarono le finestre di fronte, che davano sull’ingresso.
“È il caso che tuo padre sappia che sono qui?” quasi speravo in un sì - finalmente accettato nella sua vita.
“Non saprei….”mi rispose incerta.
Capii che forse Bella non voleva che Charlie mi trovasse lì,.
“La prossima volta, allora…”le dissi, un po’ rattristato.
E sparii in un attimo. La voce di Bella mi cercò un’ultima volta -“Edward”- in un sussurro che non voleva che la lasciassi. Ma ero già scomparso dalla sua vista. Non potei contenere una risatina all’idea del suo volto confuso, ancora non abituato alle mie abilità.
Salii le scale in lampo, prima che Charlie potesse scoprirmi. Entrai in camera di Bella, il suo profumo mi avvolse immediatamente. Delicatamente mi sdraiai sul suo letto, appogiando la testa al cuscino, l’oggetto più profumato di quella stanza. Respirai profondamente quella fragranza, la sua dolcezza non era paragonabile a null’altro che avessi mai avuto occasione di sentire prima. Riempirmene i polmoni era una tortura e insieme un idillio, ma, soprattutto, senza alcun dubbio era necessario. Ora che Bella sapeva delle incursioni notturne, non c’era motivo di privarmi di guardarla dormire tutta la notte, standole accanto. Mi rilassai del tutto, ormai mi ero assuefatto quanto bastava perché il mostro venisse definitivamente cinto da Morfeo.
Dopo avere passato un intera giornata accanto a lei, il tempo passato ad aspettarla nella sua stanza sembrava non finire mai Nell’attesa ascoltai le preoccupazioni di Charlie, che interrogava Bella riguardo al suo possibile interessamento per i ragazzi di Forks. Le mie labbra si tesero in un ampio sorriso, provado ad immaginare come avrebbe potuto reagire se avesse saputo che l’interesse di sua figlia era rivolto a me, o meglio se avesse saputo chi ero realmente.
Bella se la cavò alla grande, sottolineando che non era interessata in alcun ragazzo. Lo aveva sottolineato per la sua costante necessità di onestà, oppure perché forse, in qualche modo, si aspettava di trovarmi qui ad orgigliare?
La sentii salire le scale, entrò velocemente nella camera sbattendo la porta e, senza guardarsi intorno, si diresse subito verso la finestra.
“Edward?” mi chiamò in un sussurro titubante.
“Sì?” risposi divertito.
Soffocò un urlo di sorpresa e poi barcollò, cadendo sulle ginocchia.
“Scusa” dissi in modo poco convincente, cercando di trattenere una risata.
“Dammi solo un minuto per rimettere in moto il cuore”
Alzai il busto, con un movimento delicato. Aspettavo anche io di sentire di nuovo il suo cuore prezioso riprendere un ritmo regolare, e una delle mie azioni da vampiro non l’avrebbero aiutata.
Mi sporsi verso di lei, per raccoglierla, al momento non sembrava in pieno possesso delle sue forze. La appoggiai delicatamente al letto. Ogni mio movimento doveva essere attento e calcolato. Se solo avessi stretto troppo la presa avrei potuto frantumarle le ossa. Ogni contatto, più naturale diventava, tanto più si trasformava in una sfida. La mia concentrazione doveva essere sempre attenta.
“Vieni a sederti qui” la invitai. La mia mano sfiorò la sua pelle ribollente e il suo cuore cantò per me una nuova melodia. “Come va il cuore?”
“Dimmelo tu. Di sicuro lo senti meglio di me”
Fu difficile per me non ridere e alla fine dovetti sforzarmi di soffocare una lieve risata.
“Posso essere umana per un minuto?” mi chiese frettolosa, i suoi occhi indicavano una serie infinta di pensieri che si rincorrevano nella sua mente.
“Senz’altro” e la invitai ad alzarsi con un gesto della mano.
Ero incuriosito dai gesti umani. Non che non lo fossi stato anche io, ma ormai era un mondo per me lontano. Pur vivendo in mezzo agli uomini, prima di allora non mi ero mai sforzato di dar loro dei nomi, di osservarli. Preso come ero a non farmi notare.
“Resta lì” ordinò.
E io mi trasformai in una statua. Per me non c’era niente di più semplice di passare il tempo fermo immobile nella stessa identica posizione. Al contrario per me era strano dovermi muovere, pensare alle palpebre che dovevano sbattere, al peso che doveva cambiare appoggio.
“Sissignora” aggiunsi, prima che correndo per la stanza raccogliesse una serie di oggetti, per poi scappare rumorosamente verso il bagno.
L’acqua scorreva, sentivo le singole gocce scontrarsi sul suo corpo, poi scivolare attraverso di esso, giù nella vasca. Ogni tanto delle gocce si spostavano assieme, in direzioni diverse, scontrandosi contro le altre, attirate invece dalla gravità. Il loro contatto risuonava come piccoli campanellini, impercettibili all’orecchio umano. Poi si raggruppavano e cadevano assieme con un sonoro impatto.
Una certa tristezza mi pervase improvvisamente, appenai ripensai alle parole scambiate pochi minuti prima. In qualche modo, la sua richiesta mi aveva ferito. Posso essere umana per un secondo? Come se la mia vicinanza la rendesse meno umana.
Mi persi nei miei pensieri, nei ricordi di quelle immagini che tanta felicità aveva quasi scacciato. Le immagini di Alice! Ed effettivamente ogni momento che passava con me, portavano Bella ad essere meno umana. O almeno per meno tempo.
Dopo aver finito la doccia trafficò qualche minuto in bagno e di corsa si diresse verso la stanza, dove la aspettavo esattamente nella posizione in cui mi aveva lasciato.
“Notte Charlie” urlò prima di entrare e di sbattere nuovamente la porta.
La osservai. Indossava pantaloni grigi e una maglietta consumata, probabilmente doveva essere stato un oggetto a cui teneva. Gli umani tendono ad effezionarsi alle cose come se fossero esseri con un’anima. Bella in particolare sembrava avere questa tendenza. Sospirai.
I suoi capelli erano umidi, e le cadevano sulle spalle creando onde improbabili, decisamente in disaccordo tra di loro. Ma questa suo aspetto semplice la randeva ancora più graziosa, ancora più naturale, si abbinava a ciò che avevo capito di lei.
“Carina” le dissi con sincerità.
Mi scrutò con fare incerto e sospettoso.
“No, sul serio, stai bene” la rassicurai.
“Grazie” rispose, ancora poco convinta, e si sedette affianco a me come prima di quel suo momento umano.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Gio Giu 18, 2009 9:20 am

Le chiesi come mai avesse sentito la necesstà di tutta quella preparazione e mi rispose che Charlie era sospettoo che lei potesse sgattaiolare via. Ma non ne capivo il senso. In effetti, nei pensieri spezzati di Charlie avevo letto qualcosa, per lo più immagini distaccate e sconnesse: Bella, la luna nella stessa identica posizione di questa sera, un ragazzo, un piccolo pub in centro, un auto che aveva come minimo 10 anni, dalla vernice un po’ scrostata, due mani incrociate. Non ero riuscito a dargli alcun senso, mentre adesso iniziava a prendere forma.
Ma perché mai Charlie sarebbe dovuto essere così sospettoso? In fondo Bella non mi sembrava avere una vita sociale molto attiva, soprattutto da quando io ero apparso al suo fianco. Uno dei tanti prezzi da pagare della mia viinanza, era proprio che le altre persone avevano più buon senso di lei e mi evitavano. Con me ora evitavano anche lei.
“Perché” le chiesi, non essendo certo del puzzle che avevo appena ricomposto nella mente di Charlie.
“A quanto pare sono un po’ troppo su di giri” sentii il suo sangue galoppare verso il suo viso.
Toccandole con attenzione il suo fragile mento, feci una lieve pressione verso l’alto, per poter osservare meglio i suoi occhi grandi.
“Ti trovo accaldata, in effetti” la stuzzicai, e avvicinai il mio viso al suo, lentamente, cautamente. Il suo odore aveva ormai già invaso i miei polmoni, la mia gola bruciava molto tempo, ma ogni millimetro guadagnato nella sua direzione poteva risvegliare il mio demone. Volevo quella vicinanza con tutte le mie forze, le mie labbra fremevano al desiderio del calore di quella pelle perlacea ora tinta di rosso. La mia guancia sfiorò la sua pelle. Una sensazione di calore pungente tagliò il mio corpo. Bella era pietrificata. Aveva imparato l’importannza di restare immobile quando cercavo il contatto. Il suo cuore invece stava esplodendo, sembrava voler scappare al suo petto.
“Mmm” mi lasciai andare. Il suo profumo era dolce, fragrante, penso che il suo richiamo fosse paragonabile a quello di brioches appena sfornate. Respirai profondamente. Il veleno graffiava la mia bocca, ma era un prezzo molto basso in confronto al piacere di cui stavo godendo.
“Mi sembra che ora, starmi vicino… sia molto più facile, per te” farfugliò.
“Ti sembra?” la stuzzicai, con molta malizia. Il viso scese verso il suo collo, il naso adesso era a contatto con la sua pelle calda e morbida. Il mostro cercava di slegarsi dalle cantene con le quali lo avevo attentamente imprigionato. Protestava, voleva prendere il controllo, ma il mio desiderio, il desiderio di lei, di Bella come donna, era molto più potente. Con una mano le raccolsi i capelli umidi e freddi e, moderando la mia presa, li ravviai all’indietro, scomprendole la pelle dietro l’orecchio. Vi posai le labbra, che potevano quasi gustarne il sapore. Sentivo il sangue scorrere sotto di loro, ma soprattutto sentivo il velluto di quella morbida pelle, sentivo nitide le emozioni di Bella, pietrificata, impaurita, fiduciosa, innamorata al punto di permettermi un tale azzardo.
“Molto, molto più facile” le sussurrai all’orecchio, mentre l’estasi si impossessava di me.
“Perciò mi chiedevo..” cercò di riprendere il controllo di se stessa, con scarsi risultati.
Le mie dita iniziarono a scivolare sul collo, lentamente, in linea retta, fino alle spalle.
”Sì?”
Bella tentennava, mentre i miei istinti più umani cercavano il suo corpo “Secondo te..” continuò con la voce rotta dall’imbarazzo “qual è il motivo?”
Senza staccarmi dal suo collo perfetto risi, consapevole di star dicendo una mezza bugia “La ragione domina sugli istinti”. In parte era vero, avevo catturato e sequestrato il mostro, la mia ragione stava vincendo. Ma di certo non era lei a portarmi ad una tale vicinanza. L’istinto stava vincendo, ma uno di tipo completamente diverso e a me nuovo.
Bella si allontanò ritraendosi. Non capii il gesto. Aveva paura? Epure il suo cuore sembrava stesse per ritornare ad un battito accettabile. C’era qualcosa che non andava? Mi ero spinto troppo oltre? La stavo offendendo con le mie attenzioni? Preso dalle mie paranoie mi dimenticai di muovermi e di respirare.
Incrociai il suo sguardo, per concedermi qualche risposta. Il suoi occhi erano vigili, ma la bocca era leggermente tesa in un sorriso. Mi rilassai, seppur non sapessi dare un senso a quella reazione.
“Ho fatto qualcosa di male?” le chiesi preoccupato.
“No… al contrario. Mi stai facendo impazzire”. Rispose lei, facendo sfidare nuovamente la gravità al suo sangue.
Meditai per qualche istante sulla sua risposta. E pensare che temevo di averla fatta spaventare.. la stavo facendo impazzire, la mia vicinanza la mette su di giri … mmm… quindi sono anche bravo… e pensare che mai avevo pensato che sarei stato interessato a qualcuno in modo diverso dal semplice essere fratelli. Mi trovava sensuale almeno quanto lei lo era per me? Sapevo che effetto avesse sugli umani, ero consapevole che ogni singola molecola del mio corpo li intrappolava affascinandoli. Ma avevo quasi creduto che Bella ne fosse immune, e invece nemmeno per lei doveva essere tanto facile restare impassibile alle mia vicinanza. Io del resto non facevo niente per aiutarla.
“Davvero?” chiesi conferma compiaciuto.
“Ti aspetti che parta un applauso?” chiese acida.
Ridendo le spiegai le mie silenziose considerazioni, di come fosse tutto nuovo per me e quindi ovvio che fossi compiaciuto ad una tale conferma sulla mia bravura.
“Tu sei bravo in tutto” rispose nuovamente con una vena acida.
Mi stupii nello scoprire quanto alta fosse la considerazione che Bella aveva di me. Ovviamente non meritavo niente di tutto quello, ma in quel momento non mi andava di rovinare tutto con i miei rimorsi. Così faci spallucce,come per dargliene atto e non potei evitare di ridere sotto voce. Bella rise con me illuminando tutta la stanza con il suo splendore. Ancora una volta mi ritrovai a pensare a come un essere tanto bello puro e perfetto potesse aver accettato il mostro che sono e starmi accanto. Lasciai che i miei nefasti pensieri scivolassero via dalla mia mente e mi concentrai su Bella.
“Ma com’è possibile che ora sia così facile. Oggi pomeriggio…” riprese il discorso.
Sembrava non vedere,non accorgersi di quanto in realtà mi sforzassi di mantenere il controllo, di come faticassi a tenere incatenato il mostro dentro di me che ogni secondo lottava sempre più furiosamente per liberarsi.
“Non è facile” sospirai “ma oggi pomeriggio ero ancora indeciso. Mi dispiace, è stato un comportamento imperdonabile” mi scusai ripensando al pericolo che poche ore prima aveva, avevamo, corso.
Bella provò a consolarmi, ma non bastava. Mi vergognavo terribilmente per quel rischio. La mia superficialità poteva essere fatale… e lo avevo visto con i miei stessi occhi, Bella, proprio in quella radura, prosciugata dalla sete insaziabile. Il mio strazio appena il mostro, sodisfatto, fu messo a tacere. I guai in cui avevo messo la famiglia, il dolore di Charlie.. il mio rimorso, la fine di ogni senso della mia esistenza.. la decisione che avrebbe portato anche me verso la morte.
“Grazie”, iniziai a spiegare, “Vedi ,non ero sicuro di essere forte abbastanza”.
La voglia del suo tocco caldo e della sua pelle morbida mi assalì come un bisogno improvviso. Non avevo motivo di privarmi di un tale piacere, e mai come in quel momento avevo bisogno di starle vicino, come se il suo tocco fosse in grado di guarirmi qualsiasi ferita, e alleviare qualsiasi dolore. Presi la sua mano calda e la strinsi tra le mia, facendo molta attenzione nel dosare la forza. Non potevo permettermi di perdere la concentrazione, se solo avessi dimenticato di dosare la pressione della mia mano sulle sue avrei potuto ….No! Decisi di smetterla di pensare a quanto male avrei potuto farle. Dopo tutto ero stato in grado di controllarmi di tenere a bada la bestia che è dentro di me. Non avrei mai potuto farle del male, ormai era impossibile. Ormai la mia esistenza era inevitabilmente e indissolubilmente legata alla sua vita e per questo non sarei mai riuscito a farle del male.
“E finché sentivo come ancora possibile che venissi... sopraffatto”
Respirai il profumo tra le sue dita come per darmi coraggio e convincermi delle mie stesse affermazioni.
“ero... vulnerabile. Poi mi sono con-vinto che sono abbastanza forte, che non ci sarebbe stato nessun rischio di... di poter...”
Le parole sembravano rifiutarsi di uscire dalle mie labbra come se non volessero essere pronunciate.
Sperai che avesse compreso, sperai di non dover continuare con quella spiegazione che mi faceva tanto male quanto mi rendeva felice.
“Perciò, ora non corro più rischi?”
“La ragione domina sugli istinti” le ripetei.
E in quel momento compresi quanto di vero c’era in tutto quello che le avevo detto. Ci ero riuscito. Ora potevo starle accanto senza rischiare di ucciderla, senza dovermi più nascondere. Ora potevo finalmente concedermi quello che per quasi un secolo mi era stato negato. AMARE.
“Bé, è stato facile” disse.
La sua inconsapevolezza e la semplicità con cui Bella affrontava le cose, anche le più pericolose e serie, mi stupì ancora una volta. Adesso cominciavo a chiedermi se davvero non si fosse mai accorta di quanto per me fosse stato difficile arrivare a poterle stare così vicino.
“Facile per te!” le dissi lasciandomi sfuggire una risata sommessa.
L’incoscienza di Bella mi fece riflettere e tornare serio. Ero riuscita fino ad ora a tenere il mostro in catene, seppure con qualche difficoltà. Ma cosa sarebbe accaduto domani? E il giorno dopo, e quello dopo ancora? Avrei mai avuto la certezza di quelle che sarebbero state le mie azioni?.
“Ci sto provando” le dissi nel disperato tentativo di farle capire quali fossero i pensieri incoerenti e frenetici che si facevano largo nella mia mente.
“Se dovesse diventare …troppo, sono convinto che riuscirei ad andarmene” pronunciai quelle parole con dolore,come fossero lame taglienti che attraversavano la mia gola.
Compresi che mi ero illuso che da quel momento in poi sarebbe stato più facile, ma mi sbagliavo di grosso. Ogni giorno sarebbe stato più difficile del precedente. Starle lontano sarebbe diventato sempre più doloroso e tornare da lei sempre più pericoloso. Decisi che doveva saperlo, che doveva sapere a quali rischi stesse andando incontro, anche se dentro di me egoisticamente, spera vo che non mi desse ascolto neanche questa volta.
“E domani sarà più difficile. Ora sono assuefatto alla presenza costante del tuo odore. Se ti resto lontano troppo a lungo mi toccherà ricominciare da capo. Non proprio da zero, però”
La guardai negli occhi perdendomi in quel mare sconosciuto di pensieri e sensazioni, cercando di riuscire a comprendere i suoi pensieri , ma ancora una volta fu tutto inutile. Aspettai in silenzio quella che sarebbe stata la sua risposta.
“Allora non andartene” mi disse.
“Sono d’accordo” le dissi sorridendo.
“Pronto per le manette: sono tuo prigioniero”.
Le strinsi i polsi con le mani, facendo attenzione alla forza del mio tocco, e non potei trattenere una risata sommessa. In quel momento lasciai che ogni fibra del mio corpo si concentrasse su di lei, per ammirarne la bellezza. Sentivo che almeno per quella sera avrei potuto lasciare che fossero i miei sentimenti a guidarmi. Lascai che ogni nefasto pensiero scivolasse via dalla mia mente per potermi concentrare solo su Bella.
“Sembri più... ottimista del solito. Non ti ho mai visto così di buonumore” disse.
“Non dovrebbe essere così?”
Cominciai a spiegarle come a lungo avessi provato a capire quel sentimento che era l’amore, avevo divorato i libri e i film in cerca di una spiegazione, ma nulla al mondo era minimamente paragonabile paragonabile a ciò che provavo. Quelle sensazioni, che Bella mi regalava quotidianamente, non potevano nemmeno essere descritte, non potevano essere sminuite così tanto da essere contenute in semplici e banali parole. Come spiegarle che stando con lei provavo emozioni e sensazioni talmente forti, da darmi l’illusione di un battito nel petto? Che lei era stata capace di riscaldare quel cuore di pietra freddo e duro che per quasi un secolo era stato inanimato? Lei mi ascoltava in silenzio, meditando su ogni mia parola. Mi fermai per guardarla negli occhi un instante e poi ripresi. Ricominciai a raccontarle di come mi avesse fatto scoprire la gelosia. Quel sentimento così intenso e inspiegabile che mi aveva travolto quando Mike Newton le chiese di andare al ballo, una sensazione simile a rabbia e frustrazione, che tornava ad ardere in me ogni volta che leggevo nella mente di qualcuno dei pensieri che la riguardassero. Il mio fluire libero di parole e spiegazioni venne improvvisamente interrotto.
“Ma, sinceramente, come fai a preoccuparti tu, dopo essermi venuto a dire che Rosalie - Rosalie, l'incarnazione della pura bellezza! - doveva essere la tua compagna? Emmett o non Emmett, come faccio a competere?”
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Gio Giu 18, 2009 9:21 am

Non c’è confronto “ le dissi sorridendo.
Presi le sue mani tra le mia e la avvicinai piano a me. Mi avvolsi con il calore delle sue braccia intorno la mia schiena. Respirai a fondo il suo profumo e mi coccolai con la dolcezza del suo tocco.
“Lo so bene che non c’è confronto” rispose, gettando un soffio di aria calda sul mio petto.
“È questo il problema” continuai “Certo che Rosalie è bellissima, a suo modo, ma anche se non fosse come una sorella, anche se Emmett non ci vivesse insieme, lei non riuscirebbe a scatenare in me un decimo dell'attrazione che mi lega a te”.
Tornai serio, e una moltitudine di pensieri cominciarono a farsi largo nella mia mente. Possibile che ancora non avesse capito quanto io la desiderassi? E cosa più importante, ero riuscito a farle capire quanto io l’amassi? Mi tornarono in mente tutte le volte che solo, senza nessuno, mi rintanavo nello scantinato a leggere una moltitudine di libri per lasciare un po’ di intimità ad Esme e Carlisle o ad Alice e Jasper, per non parlare di Emmet e Rosalie. Mi nascondevo dietro ai libri sognando di poter avere, un giorno, quello che avevano loro, una persona da amare. Tornai al presente rattristato per quei vecchi ricordi e tentai di spiegare a Bella quanto avevo desiderato trovarla e quanto, ora che la stringevo tra le mie braccia, fossi felice.
“Per quasi novant'anni ho vissuto tra quelli della mia specie, e della tua... sempre certo di bastare a me stesso, senza sapere ciò che stavo cercando. E senza trovare nulla, perché non eri ancora nata”.
“Non mi sembra affatto giusto “ sussurrò contro il mio petto. “Io non ho dovuto aspettare nemmeno un secondo. Perché dovrebbe andarmi così liscia?”.
“Hai ragione” risposi “Dovrei proprio rendertela più difficile”.
Sorrisi della sua pericolosa incoscienza. Improvvisamente sentii come la mancanza di qualcosa, mi resi subito conto di quanto, anche se solo pochi centimetri di distanza ci separassero, sentissi Bella lontano da me. Avevo bisogno del suo corpo caldo contro il mio. Così non seppi resistere, con una mano le cinsi dolcemente i polsi e con l’altra le accarezzai i capelli fino alle spalle, e la avvicinai un po’ di più a me.
“Dopotutto sei soltanto costretta a rischiare la vita ogni secondo che passi assieme a me, e non è granché. Ti tocca soltanto voltare le spalle alla natura, all'umanità... cosa vuoi che sia?”.
“Pochissimo. Non mi sembra di dover sopportare una gran rinuncia” mi rispose seria.
“Non ancora” le dissi.
La mia voce si riempì di dolore e io non seppi nasconderlo. Ricordai di come anche io, all’inizio di quella che sarebbe stata la mia nuova esistenza, avevo creduto sarebbe stato facile rinunciare alla mia umanità. Fu il tempo a farmi ricredere. Vagai con la mente fino ad arrivare a quei giorni lontani del passato in cui desideravo più di ogni altra cosa di poter riavere indietro la mia umanità, la mia anima, e di come, sapendo fosse impossibile, avevo desiderato mettere fine alla mia esistenza alla quale non trovavo un senso. Ma adesso era diverso, ora sebbene desiderassi ancora poter tornare un essere umano,non desideravo più cessare d’esistere. Ora avevo trovato il mio sole, la mia luna , il mio tutto. Ora avevo una ragione di esistere, qualcosa che aveva dato senso alla mia vita. Avevo trovato la mia ragion d’essere. Bella. Ma i miei pensieri vennero interrotti.
“Cosa …” cominciò a domandarmi.
Una voce, quasi impercettibile, che sentivo a tratti mi distolse dal darle ascolto. Era la mente di Charlie, stava venendo a controllare Bella. Mi irrigidii come d’istinto, liberai la mani di Bella dalla mia presa e svanii nascondendomi nell’ombra.
“Sdraiati!” le sussurrai.
Si rannicchiò sotto le coperte, confusa e disorientata. Dopo un attimo sentimmo la porta della camera aprirsi. Charlie si sporse di poco verso l’interno della stanza e rimase a guardare Bella per un minuto, durante il quale feci ben attenzione a stare immobile nascosto nell’ombra. Bella tentava di fingersi addormentata, ma con pessimi risultati. Non sapeva recitare nemmeno una parte così semplice.
“Sei una pessima attrice….secondo me non farai mai carriera”la dissi sorridendo, non appena Charlie uscì dalla stanza.
“Accidenti” fu la sua risposta.
Aveva il cuore che le batteva all’impazzata. Cominciai a canticchiarle il motivo della ninna nanna che lei stessa, inconsapevolmente, aveva inspirato.
“Devo cantarti qualcosa per farti addormentare?”le chiesi.
“Ah, certo. Come se potessi dormire con te accanto al letto”.
“Lo fai sempre” le dissi un po’ confuso.
“Ma prima non sapevo tu fossi qui” rispose secca.
Ignorai completamente il tono con cui mi rispose e prima che potessi accorgermene, quelle parole uscirono dalle mie labbra come a provocarla.
“Bé, se non vuoi dormire…” dissi con un tono di voce forse un po’ troppo accattivante.
“Se non voglio dormire….”
Risi per il modo in cui mi rispose, quasi come se sperasse che il mio fosse un invito, forse ero stato troppo convincente nel provocarla. Sorrisi ancora.
“Cosa preferisci fare?”
Non mi rispose subito, aspetto qualche secondo e poi continuò.
“Non saprei….”
“Quando avrai deciso, dimmelo”.
Ancora bisognoso della sua vicinanza e del suo tocco dolce sulla mia pelle, avvicinai le mie labbra al suo collo e con il naso le sfiorai il mento. Inspirai a pieni polmoni, lasciando che il suo odore mi pervadesse. Sentii la gola ardere di protesta, il veleno fluiva caldo su per la gola, il mostro incatenato dentro di me cominciò a dimenarsi incessantemente, cercando invano di liberarsi dalle mie catene. Quasi non feci caso alle reazioni del mio corpo, se da una parte il vampiro che ero desiderava dissetarsi con il suo sangue, dall’altra il mio corpo e il mio lato umano, che credevo prima di allora perduro per sempre, desideravano il suo corpo, il suo tocco; desideravano che le sue labbra vellutate si modellassero sulle mie in un interminabile intreccio. Desideravo Bella più di ogni altra cosa al mondo, e la mia natura di vampiro non c’entrava nulla. L’uomo che c’era in me, era colui che desiderava Bella maggiormente.
“Pensavo ti ci fossi abituato” disse distogliendomi dalle mie fantasie.
“Il fatto che io resista al vino non significa che non ne possa apprezzare il bouquet” le sussurrai,”Il tuo odore è molto floreale, sai di lavanda... o di fresia. È dissetante” sorrisi.
“Sì, è proprio una giornataccia, se nessuno mi dice quanto sono mangiabile”.
Risi ancora una volta della sua incoscienza, di come fosse in grado di affrontare tutto questo come la cosa più normale al mondo, e sospirai.
“Ho deciso” disse seria. “Voglio sapere qualcos’altro di te”.
Mi sembrava più che giusto, infondo io l’aveva sottoposta ad un interrogatorio lungo due giorni ed in più la spiavo a sua insaputa. La sua richiesta mi sembrò più che legittima così acconsentii.
“Chiedi pure”
“Perché lo fai? Ancora non capisco perché ti sforzi così tanto di resistere a ciò che... sei. Ti prego, non fraintendermi, è ovvio che ne sono contenta. Ma non capisco quale sia la causa scatenante”.
Scelse forse la più importante e seria tra le tante domande che avrebbe potuto pormi. Meditai a lungo sulla mia risposta. Anche se infondo non era la prima volta che mi ponevano quella domanda, non sapevo come spiegarle, come farle capire che io non avevo scelto quella natura, che fino a qualche settimana fa – prima di incontrarla - avrei preferito morire piuttosto che portare avanti quell’esistenza vuota e senza senso. Era qualcosa che non avevo scelto, sulla quale non avevo mai avuto voce in capitolo, e per questo non ero un mostro, o almeno non più. Non volevo rassegnarmi, non volevo cedere e lasciare che quello che avevo ormai accettato come il mio destino, avesse la meglio e mi mettesse con le spalle al muro senza scelta. Essere diverso dagli altri della mia specie era il motivo per cui ero ancora vivo, fu la speranza di poter riavere una parvenza di umanità a darmi una ragione, anche se non molto convincente per vivere.
“È una bella domanda, e non è la prima volta che la sento. Anche gli altri - la maggior parte dei nostri simili, quelli che non rinnegano la propria natura - si chiedono come facciamo a vivere così. Ma vedi, il fatto che ci sia... toccata in sorte una certa condizione... non significa che non possiamo scegliere di innalzarci, di superare i confini di un destino che non abbiamo scelto noi. Cercando di conservare il più possibile l'essenza di un'umanità” le risposi infine.
Non disse nulla e rimase in silenzio impietrita quasi come me. Pensai di averla turbata, o che la mia risposta non fosse stata sufficientemente chiara. Aspettai una sua reazione, ma non disse nulla. Dopo qualche minuto pensai si fosse addormentata, così le sussurrai piano all’orecchio.
“Ti sei addormentata?”
“No” disse quasi infastidita dalla mia domanda.
Supposi allora, che non avesse niente altro da chiedermi. Ma ritenni quasi immediatamente che la cosa non fosse possibile. Bella aveva una sete di conoscenza superiore a quella di ogni altro comune essere umano che avessi mai incontrato, soprattutto quando si trattava di me. Non potei nascondere a me stesso che la cosa mi facesse molto piacere, ma era un’arma a doppio taglio, cosa avrei fatto quando se mi avesse del mio passato da vampiro? Cosa le avrei detto, se mi avesse chiesto delle persone che avevo ucciso? Scaccia quei pensieri dalla mente e decisi che me ne sarei occupato quando e se si fosse presentato il problema.
“Era solo questo che volevi sapere?” continuai.
“No davvero!”
Il tono della sua voce tradiva un po’ di irritazione, come se le avessi chiesto la più ovvia delle cose, e l’avessi offesa per avere anche solo pensato una cosa del genere.
“Cos’altro?” le chiesi allora cercando di riparare all’errore di poco prima.
Continuò chiedendomi delle mie capacità,del perché solo pochi di noi le possedessero. Le spiegai che neanche noi sapevamo bene il perché, le raccontai la teoria di Carlise, secondo la quale ogni uno di noi in vita possedeva una capacità particolare, la quale si ampliava e potenziava con la trasformazione. Le raccontai di come un ognuno di noi avesse portato in questa nuova vita una caratteristica posseduta quando eravamo umani. Esme la capacità di amare appassionatamente, Carlisle la compassione, Rosalie la testardaggine. Emmet la forza, e Alice, ovunque avesse passato la sua vita umana, forse aveva avuto capacità precognitive. Continuai con il raccontarle di Jazz, di come da umano fosse capace di convincere gli altri e di come in questa vita abbia portato con se’ la capacità di manipolare le emozioni della gente, e di come la sua capacità fosse un’arma a doppio taglio. In fine le dissi di me, di come da ragazzo ero, probabilmente, sensibile all’umore della gente, e di come quindi avessi portato con me la capacità di leggere nella mente. Ascoltò in silenzio ogni mia spiegazione riflettendo attentamente su ogni mia parola. Forse cercava di sforzarsi di non considerare pura follia tutto ciò che le stavo raccontando. La sua sete di conoscenza non sembrava ancora essere stata saziata, così continuò con le domande.
“Ma dov'è iniziato tutto? Voglio dire, a cambiare te è stato Carlisle, ma qualcuno deve aver cambiato lui, e così via…”.
Questa domanda mi lasciò spiazzato, era molto più curiosa di quanto credessi. Per quanto mi era possibile cercai di spiegarle quel po’ che sapevo, neanche noi vampiri sapevamo bene da dove venissimo, da dove tutto ebbe inizio.
“Be', tu da dove vieni? Evoluzione? Creazione? Non potremmo esserci evoluti come le altre specie, predatori e prede? Oppure, se non credi che questo mondo sia nato da sé, cosa che io stesso fatico ad accettare, è così difficile pensare che la stessa forza che ha creato il pesce angelo e lo squa-lo, il cucciolo di foca e l'orca assassina, abbia creato la tua specie e la mia?».
“Fammi capire bene: io sarei il cucciolo di foca, vero?” disse quasi infastidita dalla cosa.
“Esatto” le risposi sorridendo.
La sua ingenuità e la sua testardaggine erano per me così esilaranti, che non riuscii a trattenermi. Le sfiorai con le labbra i capelli. Bella sembrava volersi voltare verso di me, come per voler controllare se quelle fossero davvero la mie labbra. In quel momento sperai che lo facesse, che si voltasse, che mi desse una scusa per cercare ancora il contatto con le sue labbra morbide e vellutate. Avrei voluto prenderle il viso tra le mani, fissarla negli occhi e baciarla ancora una volta. Ma non potevo, avevo osato troppo quel giorno non potevo spingermi ancora oltre avrei potuto esagerare. Così decisi di aspettare la reazione di Bella. Se si fosse voltata avrei capito che anche lei cercava le mie labbra,e così mi sarei sentito autorizzato, per così dire, a baciarla. Sperai con tutto me stesso che si voltasse. Ma non lo fece. Sembrò soffrire di quella scelta, come se avesse franato i suoi desideri per paura di fare qualcosa di sbagliato. La sua scelta mi rattristò, avrei voluto baciarla, avrei voluto che si voltasse, ma d’altra parte la mia razionalità, p almeno quel po’ che ne rimaneva, ne fu contenta. Per oggi era abbastanza, meglio non osare troppo.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Gio Giu 18, 2009 9:22 am

“Sei pronta per addormentarti?” le chiesi rompendo il silenzio.”O hai altre domande?”
“Solo un milione o due” rispose.
“Ci sono ancora domani, e dopo domani e il giorno dopo ancora…” le ricordai, contento
all’idea di avere tutto quel tempo da passare con lei.
“Mi prometti che non svanirai con l'arrivo del giorno?” mi chiese seria. ”Dopo tutto sei sempre una creatura leggendaria.”continuò sorridendo.
“Non ti lascerò” le confermai, felice di quella promessa. Non l’avrei lasciata, finché avessi saputo che lei mi voleva al suo fianco, e che questa fosse la cosa migliore per lei, non l’avrei lasciata per nessuna ragione al mondo.
“Ancora una, allora, per stasera...” disse interrompendo i miei pensieri.
Il suo sangue sfidò ancora una volta la forza di gravità: correndo sotto la sua pelle arrivò alle guance che si colorarono di un intenso rosa.
“Quale?”le dissi perso nel suo sguardo.
“No, lasciamo perdere. Ho cambiato idea”
“Bella, puoi chiedermi qualsiasi cosa”
Non rispose e il suo silenzio sembrò risuonare muto nella mia mente.
“Continuo a pensare che non poterti leggere nel pensiero col tempo sarà meno frustrante. Invece è sempre peggio” le risposi sbuffando.
“Sono felice che tu non sia capace di leggermi nel pensiero. Già è grave che origli quando parlo nel sonno” rispose di tutto punto.
“Per favore” le chiesi usando quel tono suadente che sapevo essere irresistibile agli
umani. Bella fece segno di no con le testa, avrei dovuto immaginare che con lei non avrebbe funzionato. Così cambiai tattica.
“Se non me lo dici, darò per scontato che sia qualcosa di molto peggio di ciò che è” dissi quasi con tono di minaccia.
“Per favore”continuai con voce implorante.
“Bé” cominciò
“Si?” dissi speranzoso.
“Hai detto che Rosalie ed Emmet si sposeranno presto…Il loro matrimonio è uguale a …quello umano?” disse lasciando che il sangue fluisse rapido verso le sue guance.
Capii cosa volesse sapere, dove avesse intenzione di arrivare, anche se non potevo leggere nei suoi pensieri.
“È lì che vuoi arrivare?”le chiesi divertito. Sbiascicava parole senza senso non rispondendo, così continuai.
“Sì, immagino che sia più o meno la stessa cosa” mi interruppi per un momento “Te l'ho detto, molti degli istinti umani sopravvivono, sono solo nascosti dietro altri e più potenti desideri”.
“Ah” disse.
La sua domanda mi aveva incuriosito. Non riuscivo a capire dove, alla fine, volesse arrivare.
“Che scopo aveva questa domanda?”
“Be', mi chiedevo, in effetti, se... io e te... un giorno...”.
Mi irrigidii di colpo. La mia parte razionale si fece avanti con impeto, nonostante io la desiderassi e molto, quello a cui lei alludeva non era possibile. Avrei potuto ucciderla soltanto sfiorandola, figuriamoci cosa sarebbe potuto accadere se…no! non era possibile! Pensai che in qualche modo i miei comportamenti avessero potuto dare adito alla sua domanda. E conclusi che sviare il discorso non sarebbe servito a niente, l’unica alternativa era risponderle sinceramente nel modo più dolce e delicato possibile.
“Non penso che... che... per noi sarebbe possibile” fu la mia risposta.
“Perché sarebbe troppo difficile per te, sentirmi così... vicina?”
“Quello sarebbe senz'altro un problema. Ma ora pensavo ad altro. Il fatto è che sei così tenera, così fragile. Quando mi sei accanto devo badare a ogni mio gesto, per non farti del male. Potrei ucciderti senza sforzo, Bella, anche per sbaglio”.
La mia voce si ridusse ad un sussurro, spezzata dal dolore. Il solo pensiero che avrei potuto farle del male, o ucciderla era per me insopportabile.
“Se avessi fretta... se per un secondo non facessi attenzione, potrei sfondarti il cranio con una carezza. Non ti rendi conto di quanto tu sia friabile. Non posso mai, mai permettermi di perdere il controllo, se ci sei tu. In nessun senso, mai”
Tentai di spiegarle così il perché dell’impossibilità dei suoi pensieri. Attesi in silenzio una reazione, ma Bella non disse niente. Temettii quelli che sarebbero potuti essere i suoi pensieri in quel momento, e non poterli leggere era per me così frustrante.
“Sei spaventata?”
“No, tutto bene”
“Adesso però sono curioso io” le dissi continuando “Hai mai...” lasciai cadere la domanda troppo intima e privata per poter essere completata ad alta voce.
“Certo che no” disse arrossendo “Te l'ho già detto, nessuno mi ha mai fatto sentire così, nemmeno lontanamente”
“Lo so. Però conosco i pensieri delle altre persone. E so che sentimento e sensualità non vanno sempre di pari passo”.
“Per me sì. Perlomeno adesso che li sento nascere” disse sospirando
“Bene. Se non altro, una cosa in comune l'abbiamo”
Mi rallegrai della sua risposta. Ovviamente non mi faceva piacere sapere che stare con me significasse provarla di un’esperienza che immaginavo essere una delle più complete e importanti nell’esisetenza di qualcuno. Ma per lo meno, non fui bruciato dalla gelosia che sarebbe scaturita dall’immaginarla….. !
“I tuoi istinti umani….” disse per poi interrompersi ”Be', mi trovi minimamente attraente anche in quel senso?”.
Risi delle sue sciocche insicurezze. Possibile che non avesse ancora capito di quanto la desiderassi in TUTTI i sensi? Le arruffai i capelli come per prenderla in giro. Mi stupii di quanto fosse tanto perspicace ed attenta ad ogni minimo particolare, di come fosse capace di vedere cose che nessun altro essere umano aveva mai notato prima, e di come allo stesso tempo non riuscisse a vedere le cose più ovvie, come ad esempio quanto io la desiderassi.
“Non sono un essere umano, ma un uomo si” fu la mia risposta.
Senza riuscire a controllarsi sbadigliò, facendomi tornare alla mente tutte le cose di cui avesse bisogno un essere umano, come dormire. Mi resi conto che era ormai tardi e di quanto Bella fosse stanca. Decisi così di porre fine alla sua serie infinita di domande.
“Ho risposto alle tue domande, ora è meglio che tu dorma”.
“Non so se ci riuscirò”.
“Vuoi che me ne vada?”.
“No!” disse quasi urlando.
Ricominciai a cantarle la ninna nanna che avevo composto per lei, rievocando alla mente l’intera giornata. La più bella della mia vita. Ancor prima di quanto avrei potuto prevedere, Bella si lasciò andare ad un sonno profondo tra le mie braccia. Sentivo il calore del suo corpo sulla mia pelle. Un susseguirsi infinito di fremiti percosse il mio corpo in reazione al contrasto con le sue membra calde. Dopo un po’ l’avvolsi nella coperta facendo attenzione a non svegliarla e la ripresi tra le mia braccia. Non ero sicuro che stare a contatto così a lungo con il mio corpo freddo le facesse bene. Passai così gran parte della notte, a guardarla dormire, sperando che pronunciasse ancora il mio nome, o che mi rivelasse nel sonno qualcosa che ancora non sapevo. Bella dormiva tranquilla così decisi di lasciarla libera dalla mia stretta, mi sedetti su quella che era ormai la mia poltrona e la guardai ancora un po’ dormire. Si rigirò nel letto un paio di volte, sperai perché fosse alla ricerca del mio corpo, di me, ma forse cercava solo la posizione più comoda per dormire. Tutte le volte che ero stato nella sua stanza avevo desiderato dare un’occhiata in giro, curiosare tra i suoi libri, guardare i suoi cd, ma non l’avevo mai fatto. Era troppo rischioso, avrebbe potuto accorgersi della mia presenza. Ma ora era diverso, era stata lei a chiedermi di restare, potevo concedermi di curiosare tra le sue cose, in fondo era come se mi avesse dato il permesso. Anche se non ero sicuro di ciò, decisi di cedere alla tentazione, e cominciai così a guardarmi in giro. Trovai molti CD di musica che non credevo per niente adatti a lei, mi stupivo ancora di come conoscendo Debussy potesse ascoltare quella roba. C’erano in giro molti libri di scuola e qualche quaderno. Sotto la sua scrivania c’era una pila di libri, per lo più classici, erano tutti logori e mal ridotti, letti almeno un milione di volte. Ne presi alcuni e ne sfogliai qualche pagina, su un paio, ai margini delle pagine c’erano delle annotazioni. Mentre tentavo di decifrare ciò che c’era scritto, Bella attirò la mia attenzione. Cominciò a rigirarsi nel letto, le sue labbra si distesero in un sorriso,il battito del suo cuore accelerò, fece un respiro profondo e poi parlò. “Ti amo” mi confidò per la seconda volta, e il mio cuore ebbe di nuovo la sensazione di un fremito. Niente che già non sapessi, ma quel giorno ogni cosa aveva assunto una nuova forma, un nuovo significato, più intenso, più vero. Bella riprese a dormire tranquilla, sembrava aver finito i suoi discorsi notturni. Curiosai ancora un po’ tra le sue cose e poi tornai a sedermi sulla “mia” poltrona. Mancava meno di un’ora al sorgere del sole, così decisi di godermi quell’angelica visione per quegli ultimi minuti a me concessi. Ancora non sapevo perché guardarla dormire mi affascinasse così tanto, ma non importava. Tutto di Bella mi attraeva, e il fatto che fossi follemente innamorato di lei amplificava ogni suo gesto rendendolo inevitabilmente irresistibile. Ero sicuro che a quel punto non rischiavo di perdermi più nulla, avevo già sentito tutto quello che mi interessava. Lei mi amava e io amavo lei, e forte di questa convinzione decisi che era ora di andare a casa. Uscii piano dalla finestra, facendo attenzione a non disturbare il suo sonno. Una volta fuori cominciai a corre veloce come il vento nel bosco dietro alla casa di Bella. Mi diressi verso casa, pensando a cosa dire ad Esme e Carlisle: volevo raccontargli tutto di quella meravigliosa giornata e, anche se sapevo che avrebbero rimproverato alcuni miei comportamenti, ero certo del loro perdono. Sapevano per quanto tempo avevo aspettato che Bella entrasse nella mia vita, e quanto sofferente era stata la mia ricerca. Quella che mi preoccupava era Rosalie, lei non voleva che Bella entrasse nella mia vita, o meglio nelle nostre. Durante la mia corsa mi lasciai cullare dai rumori della natura, il vento che soffiava scuotendo le foglie. Le gocce di rugiada che lente scorrevano dai rami. Arrivai al viale d’entrata di casa mia e lì trovai Alice ad aspettarmi.
“Sei stato bravissimo Edward, non hai mai perso il controllo” mi disse.
“Grazie Alice, ma non è proprio così” le dissi consapevole dei miei errori.
Entrai e salii in fretta le scale. Entrato nella mia stanza, aprii l’armadio, dal quale presi la prima camicia che mi capitò tra le mani ed un pantalone. Mi cambiai in fretta e scesi al piano di sotto. Erano già tutti riuniti nel salone; immaginai fosse stata Alice a chiamarli tutti, prevedendo la mia decisione.
“Edward” cominciò Carlisle “Alice crede tu abbia qualcosa da dirci”
“Si è vero Carlisle, in realtà pensavo di presentarvi Bella. Portarla a casa insomma”.
Le mie parole riecheggiarono nel silenzio di quella stanza. Attesi una reazione, pronto a difendere in qualunque modo le mie scelte. Ma rimasi sorpreso.
“Ma è meraviglioso Edward!” disse Esme. “Siamo così contenti per te…ho sperato così a lungo che tu la incontrassi“ proseguì.
“Si lo so Esme, adesso l’ho trovata e non la lascerò andare via.”
“Bene figliolo” mi interruppe Carlisle “Siamo tutti impazienti di conoscerla. Puoi portarla a casa, non credo che nessuno dei tuoi fratelli abbia niente in contrario”.
Rosalie fece una smorfia di disapprovazione, ma Esme la fulminò con uno sguardo per metterla a tacere ancor prima che aprisse bocca. Emmett mi guardò sorridendo, stava pensando a quanto sarebbe stato divertente vedere la faccia di Rosalie quando Bella fosse arrivata a casa. Alice sprizzava felicità da ogni sua singola molecola, e Jazz di rimando.
Bene, erano tutti d’accordo, presto bella avrebbe conosciuto la mia famiglia, e sarebbe ufficialmente entrata a far parte della mia vita. Uscii in fretta da casa e ricominciai a corre attraverso i boschi, ero impaziente di tornare da Bella, di rivedere il suo viso di assaporare ancora il suo odore. Ma soprattutto dovevo muovermi, non volevo che si svegliasse prima che fossi tornato.indietro. Il suo disappunto sarebbe stato assolutamente giustificato e io mi sarei torturato per quella promessa infranta. Arrivai dietro casa sua, rimasi in ascolto per assicurarmi che non ci fosse nessuno, Charlie era già uscito e Bella dormiva ancora. Entrai dalla porta sul retro, salii le scale e rientrai nella sua stanza. Mi rimisi nel mio angolo e la guardai ancora dormire aspettando il suo risveglio.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Giu 21, 2009 11:14 am

Capitolo 16 - La famiglia Cullen

Il sole stava ormai sorgendo dando inizio ad un'altra giornata .Ormai la notte non appariva più troppo breve perché ora non dovevo più fuggire al primo raggio di sole, ormai aveva visto chi ero o meglio “cosa”ero e mi aveva accettato, non dovevo più nascondermi. Potevo starle accanto, guardarla dormire, e aspettare il suo risveglio, senza dover perdere più neanche un attimo della sua vita. Vidi gli occhi di Bella schiudersi, lenti, la luce le illuminava il viso, i suoi capelli arruffati accentuavano la sua aria un po’ intontita. Forse era normale, ma per me era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevo dormito, per poter ricordare cosa si provasse appena svegli. Sembrava quasi essersi dimenticata della mia presenza, ma all’improvviso si alzò di scatto dal letto - forse troppo velocemente per il suo piccolo e fragile corpo umano. Stavo per scattare verso il suo letto per sorreggerla, ma non c’è ne fu bisogno. Il suo sguardo era un misto di confusione e sorpresa. Appena sembrò aver acquistato un po’ di lucidità eslamò un semplice ma eloquente «Ah!».
La guardai affascinato dalla sua bellezza e dai giochi di colore che la luce creava sulla sua pelle, così chiara da sembrare quasi un sottile strato di cristallo,che al minimo tocco sarebbe potuto andare in frantumi. Sembrava ancora non rendersi conto della mia presenza, così cercai un modo poco invadente di farmi notare.
“I tuo capelli sembrano una balla di fieno….ma mi piacciono” le dissi con tono scherzoso, sebbene lo pensassi davvero. Quando aveva quell’aria buffa mi piaceva ancora di più, se possibile.
Sorrisi aspettando che il suo volto prendesse colore, infiammato dal sangue che correva rapido verso le sue guance. Quel sangue che avevo tanto desiderato assaporare, che un tempo risvegliava il mostro celato dentro me. Ora che sapevo controllarmi avevo voglia del contatto con la sua pelle,che le sue dita così piccole e sinuose percorressero il mio corpo di pietra freddo,avevo voglia delle sue labbra calde e morbide che si modellavano sulle mie. Volevo lei e sole lei,e la cosa più importante era che la volevo nel modo più umano possibile. Bella sembrò cominciare a cercare nella stanza la provenienza della mia voce, poi all’improvviso i suoi occhi nocciola liquido incrociarono i miei e si illuminarono, le sue labbra si aprirono in un sorriso.
“Edward! Sei rimasto qui!
Il suo viso tornò ad illuminarsi. Rimasi incantato da quella stupenda visione, tanto da non rendermi conto che si era buttata tra le mie braccia, in un attimo, senza neanche pensarci. Ebbi paura che l’improvviso e inaspettato contatto con la sua pelle così pericolosamente vicina,e il suo odore che riempiva i miei polmoni facendo ardere la mia gola e fluire il veleno in bocca, facesse cedere il mio autocontrollo. Ma ero inaspettatamente calmo, forse mi ero sottovalutato, stavo rafforzando sempre di più la mia capacità di resistenza. Decisi di essere abbastanza forte da poter ricominciare a respirare,così riempii i miei polmoni d’aria inevitabilmente impregnata del suo odore, sentii la gola riardere come un grido di protesta,e il veleno salire lento, ma nn mi importava.
Guardai il suo volto quasi impietrito, sembrava chiedersi se avesse fatto un passo di troppo. Io la guardai di rimando sorridendo.
“Certo che sono qui”
Le risposi stupito, ma anche contento per la sua reazione. Poggiò la testa sulla mia spalla con delicatezza, mi guardò per un secondo e poi continuò.
“Ero convinta di averti sognato”
“Non sei tanto creativa” le risposi
All’ improvviso, come colpita da una strana consapevolezza, si alzò e scattò verso la porta.
“Charlie!”
“È uscito un'ora fa... dopo aver ricollegato la batteria del pick-up, se proprio vuoi saperlo. “Devo ammettere che un po' mi ha deluso. Basterebbe così poco per bloccarti, se fossi decisa a fuggire?”.
Restò li sulla porta a fissarmi, come se si stesse chiedendo cosa fare. La sua reazione mi colpì, mi chiesi perché aspettasse così tanto per tornare da me, poi compresi, credeva di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver esagerato. Ma si sbagliava. Distesi le braccia, come per accoglierla, sperando che capisse quanto grande fosse il mio bisogno di lei. Aspettavo impaziente che il suo corpo caldo tornasse a raggomitolarsi sul mio petto, che le sue braccia, sinuose e delicate, tornassero a stingermi: cominciai a pensare a quanto ormai dipendessi da lei. Starle così vicino rendeva la lontananza ancora più atroce, ma non importava, perché non volevo perdermi neanche un attimo della sua vita e starle lontano non era di certo tra i miei programmi. La guardai negli occhi, incerto sorridendo mentre tentavo di leggere i suoi pensieri: volevo capire il motivo di quello strano comportamento, ma ovviamente fu inutile, i suoi occhi non erano collaborativi.
“Di solito, la mattina non sei così confusa ” le dissi. Non riuscivo ancora a capire il motivo della sua indecisione, cominciai a pensare che forse non voleva davvero che io restassi li, forse avrebbe preferito che io andassi via. Tornai a distendere le braccia, come a rinnovarle l’invito a tornare da me.
“Ho bisogno di un altro minuto umano” mi rispose.
Compresi che era questa semplice richiesta la fonte di tutte le sue indecisioni. Aveva soltanto bisogno di tornare per un minuto ad essere una semplice umana. Mi sentii in colpa perché ancora una volta non avevo badato a quelle che erano le sue esigenze , le sue necessità. Con dispiacere ritrassi le braccia e le sorrisi.
“Ti aspetto” le dissi con un tono dolce e amorevole, di cui anche io mi stupii.
Bella uscì in fretta dalla camera e si chiuse in bagno, sentii la porta socchiudersi e l’acqua cominciare a scorrere. Cominciai a riflettere su tutti i cambiamenti che aveva subito la mia esistenza in quelle settimane e su tutte le cose che erano cambiate in me. Sentimenti che mai avrei creduto di poter provare bussavano frenetici alla porta del mio cuore, impazienti di entrare. La gioia, la felicità, l’amore, la gelosia, invadevano la mia mente e ogni fibra del mio corpo, e io non potevo che esserne felice.
Di lì a poco Bella, nel caso in cui avesse accettato, avrebbe conosciuto la mia famiglia e ne sarebbe diventata parte. Lei era ormai tutto per me, ma la mia vicinanza a lei, stava portando ad una conseguente ed inevitabile lontananza con la mia famiglia. Quella famiglia che per centinaia di anni mi aveva supportato e amato. Solo se Bella ne avesse fatto parte a pieno titolo, la mia esistenza sarebbe stata definitavamente completa.
Mi distesi sul letto e mi immersi nel calore del suo corpo che non aveva ancora lasciato le coperte. Restai così immobile per qualche minuto lasciando che il suo odore mi pervadesse, percorrendo indisturbato le mie narici e la mia gola. Mi alzai e cominciai a girovagare per la stanza pensando al modo in cui le avrei detto che volevo portarla a casa mia. Mi fermai di scatto al centro della stanza assalito da un’improvvisa sensazione di ansia e incertezza. Avrebbe accettato il mio invito? O sarebbe rimasta terrorizzata all’idea di incontrare un’ intera squadra di vampiri? Aveva accettato me, ma se non avesse accettato la mia famiglia? Se l’idea di tutti loro la spaventasse? Una remota parte di me sperava ancora che questo potesse accadere, che l’istinto di sopravvivenza di Bella si risvegliasse dal suo sonno profondo, e la costringesse a scappare. In fondo questa era la reazione più logica e sicura per un essere umano, ma Bella non sembrava avere nessun comportamento che potesse essere definito normale.
Il mio egoismo tornò a farsi strada tra i miei sentimenti e ricominciai a sperare che accettasse il mio invito. Ormai allontanarla da me non aveva più senso, sapeva tutto e io ero ormai in grado di controllarmi, e come me anche tutti i miei fratelli. Non potevo più considerarmi il maggiore dei pericoli che incombevano su Isabella Swan, dopo tutto c’erano anche le auto, gli incendi, le catastrofi naturali e ogni tipo di azione, che per essere svolta, richiedesse un po’ di equilibrio. Risi dei miei pensieri.
Senza neanche accorgermene avevo ricominciato a vagare per la stanza. Erano passati solo pochi minuti ma già sentivo la sua mancanza. Mi rasserenai quando finalmente udii il rumore della porta del bagno che sia apriva, la sentii camminare svelta per il corridoio e la vidi in fine aprire la porta della sua camera. Nel vederla l’enorme vuoto dentro di me si colmò.
Il bisogno che sentivo di lei cresceva ogni secondo, i miei occhi la guardavano come il più perfetto dei miracoli, le mie braccia la cercavano come il più ambito dei tesori. Non seppi e non volli, resistere alla necessità di riaverla tra le mie braccia, così cominciai lento ad andarle incontro.
“Bentornata” le sussurrai con un ampio sorriso.
Mi avvicinai e la strinsi a me, respirai a fondo il suo odore e mi compiacqui di come ormai potessi concedermi la sua vicinanza senza troppi problemi. Continuai a stringerla e a cullarla tra le mie braccia, sentivo crescere dentro me una senso di completezza e felicità ineguagliabile. Sentii il suo cuore accelerare ogni secondo di più, batteva all’impazzata, sembrava quasi non voler rallentare, e ne fui quasi felice. Sentii il suo volto muoversi lento sul mio petto e vidi il suo sguardo spostarsi lento dalla mia camicia ai miei capelli e in fine incrociai il suo sguardo che sembrava quasi volermi fulminare.
“Te ne sei andato?” disse con un tono quasi accusatorio indicando la mia camicia.
Provai un improvviso senso di dispiacere perché avevo infranto la mia promessa, ero andato via, se pure per pochi minuti. Poi mi lasciai andare ad un sorriso, compiacendomi del fatto che anche lei cercasse costantemente la mia vicinanza, anche quando dormiva.
“Non potevo certo uscire di qui con gli stessi abiti che avevo quando sono entrato... Cosa avrebbero pensato i vicini?”dissi in tono scherzoso, ma la sua espressione no cambiò. “Stavi dormendo sodo; Non mi sono perso niente” continuai cercando quasi di giustificarmi.
Nel pronunciare quelle parole non potei non ricordare ciò che avevo sentito la sera prima, il mio sguardo si illuminò e le mie labbra si distesero in un ampio sorriso. “I discorsi li avevi già fatti” non riuscii a trattenermi dallo stuzzicarla.
“Cos’hai sentito?” mi rispose quasi come per lamentarsi. Cercai di dirle nel modo più dolce possibile ciò che mi aveva confessato inconsciamente la notte prima. Incrociai il suo sguardo e lasciai che dai miei occhi trasparisse tutto ciò che avevo provato nell’udire quelle parole.
“Hai detto che mi amavi”.
“Lo sapevi già” ribatte chinando la testa.
“Però è stato bello sentirlo” non potei evitare di confessarle.
Si avvicinò a me ancora di più, lasciando affondare il suo volto sul mio petto freddo, sentivo il suo respiro caldo su di me e la voglia di stringerla ancora di più crescere ogni istante.
“Ti amo” mi sussurrò.
In quel momento seppi che se il mio cuore fosse stato ancora in grado di battere, l’avrebbe fatto all’impazzata. Sentivo ogni singola parte di me gioire nell’udire quelle parole, sentivo il bisogno di stringerla e di baciarla, ma non sapevo se, preso da quel vortice incessante di emozioni, sarei riuscito a controllarmi. Così mi trattenni dal dare libero sfogo ai miei desideri, ma lasciai che tutto ciò che provavo trasparisse dai miei occhi. La guardai intensamente desiderando che riuscisse a comprendere tutto ciò che provavo, sebbene facessi fatica io stesso a capirlo fino in fondo.
“Tu sei tutta la mia vita adesso” le confessai con tutto l’amore possibile.
Tutto in quell’istante era perfetto, non ci restava più nulla da dire. Continuai a stringerla tra le mia braccia lasciando che le sua parole riecheggiassero soavi nella mia mente. Ricordai all’improvviso di come nei due giorni precedenti avessi prestato poca attenzione a quelle che erano le necessità di Bella, ricordai di come la sera prima avessi dimenticato del suo bisogno di cibo…CIBO! Quella parola diradò le nubi della mia mente che celavano una consapevolezza nascosta. Ormai era già mattino e Bella aveva sicuramente bisogno di fare colazione come tutti gli esseri umani. Cercai di nascondere la mia dimenticanza con il tono più disinvolto possibile, cercando di dare alle mie parole quel senso di ovvietà e naturalezza che avrei voluto esprimessero.


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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Giu 21, 2009 11:15 am

“È ora di fare colazione” dissi. Spostai il mio sguardo verso il viso di bella per sorridere e accompagnarla di sotto, ma incrociando i suoi occhi restai pietrificato. Si era portata le mani al collo e mi fissava con occhi spalancati colmi di terrore. Rabbrividì al solo pensiero di ciò che aveva creduto avessi detto. Il mio corpo si irrigidì di rimando, i miei occhi la fissavano pieni di rimorso e tristezza. Come aveva anche solo potuto pensare che intendessi farle del male? Allora forse aveva paura di me, di ciò che ero ma l’aveva nascosto fino a quel momento? Temeva realmente per la sua vita quando era con me? E anche se così fosse stato, come avrei potuto contraddirla? Era realmente in pericolo quando mi stava vicino, io ne ero consapevole, ma il fatto che anche lei lo sapesse… sentii come una fitta al cuore, e un sentimento di amara tristezza crescere sempre più…In quel momento avrei voluto farle un milione di domande, chiederle il perché, ma non ebbi la forza di emmettere alcun suono. Restai immobile a guardarla aspettando un’altra sua reazione.
“Scherzetto!” disse ridendo.
Il mio sguardo si addolcì all’istante e anche il mio corpo. La guardai come per rimproverarla, non era stato divertente, credere che lei avesse davvero paura di me mi aveva terrorizzato, e non mi era mai successo prima.
“E poi dici che non so recitare!”continuò. Incrociò il mio sguardo ancora intento a rimproverarla, i suoi occhi nocciola non si staccavano dai miei, come a cercare un segno del mio perdono. Ma come potevo resistere quel suo sguardo da cucciolo? Lasciai che i miei occhi diventassero come miele.
“Non è stato divertente” dissi cercando di tenerle il broncio, ma non ci riuscii.
“Posso riformulare la frase?” chiesi sospirando. “È ora di fare colazione, per gli umani”.L’afferrai e la presi sulle spalle, uscii dalla stanza e scesi le scale ad un velocità, forse per Bella, troppo elevata. La portai in cucina e la lasciai su una sedia, mi appoggia al piano della cucina lì di fronte, e la lascia libera di fare ciò che le era necessario. Mi guardò per qualche secondo.
“Che c’è per colazione?” chiese. La sua domanda mi lasciò perplesso, forse avrei dovuto prepararle qualche cosa, avrei dovuto pensare io alla colazione. Non sapevo cosa avrei dovuto fare, o come mi sarei dovuto comportare, così scelsi quella che appariva la soluzione più facile. Chiedere.
“Ehm, non saprei. Cosa ti piacerebbe mangiare?”. Mi sentivo in errore, avrei dovuto pensare a prepararle qualcosa per la colazione, avrei dovuto prendermi molta più cura di lei, avevo sbagliato ancora una volta, e la cosa mi infastidiva non poco.
“Benissimo, posso cavarmela da sola senza problemi. Osservami mentre caccio” disse interrompendo i miei pensieri.
Si alzò e prese una ciotola e una scatola di cereali. Seguivo ogni sua mossa, ogni suo gesto, con il mio sguardo. Mi incuriosiva molto scoprire come funzionasse precisamente la giornata di Bella, in fondo fino a quel momento molte parti mi erano sfuggite.
“Vuoi che procacci qualcosa anche per te?” riprese.
La sua disinvoltura e la sua tranquillità nell’affrontare certi argomenti come quelli mi infastidiva, lei avrebbe dovuto averne paura, evitarli, non scherzarci su. Anche se non aveva paura di me, non voleva dire che quello che mi riguardava non fosse orribile o spaventoso. Però non potevo non notare quanto oggi fosse di ottimo umore e di certo questo clima mi avrebbe aiutato a formulare la mia assurda richiesta.
Non sapevo dire se fossi più divertito oppure più arrabbiato. Avrei cercato di metabolizzarlo nel corso della mattinata.
“Mangia e basta, Bella” le risposi in attesa di capire se fossi più divertito da quell’atteggiamento oppure se fossi veramente arrabbiato.
Si sedette al tavolo e versò il latte e i cereali nella ciotola. Prese la prima cucchiaiata di cereali e cominciò a mangiare. Ripresi a studiare ogni suo gesto, ogni singolo movimento, non volevo perdermi nulla di lei, neanche il più piccolo e insignificante gesto.
“Cosa abbiamo in programma oggi?” disse riportandomi alla mente gli impegni della giornata.
“Mmm…” restai vago, cercando il modo di più naturale possibile di dirle che avrei voluto portarla in un covo di vampiri. Vegetariani, si intende!
“Che ne dici di venire a conoscere la mia famiglia?” dissi sperando che il tono della mia voce fosse stato sufficientemente rassicurante e spontaneo.
Bella rimase in silenzio. Cominciai a sperare che avesse paura, che stesse cominciando a rendersi conto, ma poi ricordai come mi ero sentito pochi minuti prima, quando aveva finto di essere terrorizzata, e allora la mia speranza si trasformò in terrore. In quel momento, come del resto ogni volta che ero con lei, mi sentii pervadere da un ondata di emozioni e sensazioni contrastanti.
“Hai paura adesso?” le chiesi sperando… No! non sapevo cosa sperare.
“In effetti si “ disse.
Il mio timore iniziale cresceva sempre più.
“Non preoccuparti. Ti proteggerò io” le dissi con un sorrisetto, cercando di non tradire la mia ansia e le mie paure.
“Non ho paura di loro. Temo che non... gli piacerò. Non credi che saranno sorpresi di vederti arrivare assieme ad una... come me... a casa loro, per conoscerli? Sanno quel che so di loro?” esordì ancora una volta contro ogni mia previsione.
A quel punto scoppiaiin una silenziosa risata. Non aveva paura, voleva stare con me, non voleva correre lontano ma starmi vicino a tal punto da entrare in una casa colma di vampiri. Non potevo non esserne contento.
“Sanno già tutto. Ieri hanno persino scommesso”, risi in modo poco convinto e per niente divertito, “su quante possibilità io abbia di portarti a casa sana e salva, benché mi sembri una stupidaggine scommettere contro Alice. E in ogni caso, nella mia famiglia non ci sono segreti. Non sarebbe proprio concepibile, con me che leggo nel pensiero, Alice che vede il futuro e tutto il resto”.
“E Jasper che ti rende felice, contento ed entusiasta di raccontargli i fatti tuoi, non dimentichiamolo”disse disinvolta.
“Ah, vedo che quando parlo stai attenta” le risposi stupito, non credevo avesse prestato molta attenzione ai miei racconti, e scoprire il contrario mi sorprese.
“Di tanto in tanto capita anche a me” disse facendo una linguaccia. “Perciò, Alice mi ha già vista arrivare?” continuò.
“Qualcosa del genere” le risposi voltandomi per evitare il suo sguardo, di certo dirle che Alice l’aveva vista distesa nella radura priva di vita, e poi trasformata in un mostro, in quel momento non sarebbe stato proprio incentivante per lei.
“È buono quello che mangi?” dissi cercando di cambiare discorso, ma anche realmente interessato a quale sapore avesse mai potuto avere la sua colazione, a me non sembrava tanto invitante, ma del resto non avevamo gli stessi gusti.
“Bé, di certo non è un grizzly permaloso…”.
Reagii serio a quella sua battuta, come a rimproverarla un’altra volta, ma sembrò ignorarmi. Restai lì a guardarla, al centro della cucina, cercando ci cogliere nel suo sguardo una qualche reazione al mio invito di poco prima, ma non ci fu niente da fare. Ci rinunciai e rivolsi il mio sguardo fuori dalla finestra alle sue spalle. La mia mente rievocò le visioni di Alice, i suoi discorsi e i miei sensi di colpa. Cominciavo a chiedermi se portarla a casa mia fosse davvero la cosa migliore da fare, se non fosse un passo troppo affrettato. Poi sorrisi, pensando a come probabilmente avrebbe accettato più facilmente di incontrare la mia strana famiglia piuttosto che presentarmi alla sua.
“E immagino che poi toccherà a te, presentarmi a tuo padre” le dissi curioso di scoprire la sua reazione.
“Ti conosce già” mi rispose, come non capendo.
“In quanto tuo ragazzo, dico”.
Mi fisso sospettosa, come per cercare un significato nascosto che non c’era.
“Perché?” mi chiese infine.
“Non si usa?” le domandai.
Forse era un’usanza ormai svanita con il tempo, era quasi un secolo, o forse più che non mi interessavo alle tradizioni sentimentali. Mi sentii in imbarazzo e pensai che per via di quella mia richiesta, mi avesse preso per suo nonno.
“Ti confesso che non lo so” mi rispose, dandomi un immenso sollievo, non solo perché non avevo fatto la figura dello stupido, ma anche perché quella sua piccola e innocente confessione mi aveva svelato la sua poca esperienza nelle questioni sentimentali, e la cosa non poteva che farmi piacere.
“Non è necessario, ecco. Non mi aspetto che tu... Cioè, non sei costretto a fingere per me” continuò.
Le sorrisi, e potei comprendere come potesse essere confusa dalla sua poca esperienza e dal fatto che la nostra storia non fosse esattamente tra le più tradizionali.
”Non sto fingendo” le risposi sin fine.
Bella non accennava a rispondermi e il suo silenzio un po’ mi snervava.
Questa situazione era per me completamente nuova e la cosa un po’ mi innervosiva, perché non sapevo come dovevo comportarmi, e il suo silenzio, e la sua indecisione di certo non aiutavano.
“Dirai o no a Charlie che sono il tuo ragazzo?” insistetti.
“Lo sei?”. La sua risposta mi spiazzò, non riuscivo a comprendere cos’altro sarei potuto essere, se non la persona che le sarebbe stata accanto giorno e notte, ogni secondo,e ogni istante della sua vita. Definirmi il suo ragazzo forse non era l’espressione giusta? Non capivo cosa intendesse con la sua risposta e il fatto che non riuscissi a leggere nella sua mente mi faceva impazzire.
“In effetti l’espressione ‘ragazzo’ è qui intesa in senso lato” dissi sorridendo, cercando ancora di comprendere.
“Avevo l’impressione che fossi qualcosa di più a dir la verità” e la sua risposta chiarì tutti i miei dubbi, lasciando dentro di me una sensazione di felicità.
“Be', non so se sia il caso di descrivergli anche i dettagli più sanguinolenti” le risposi allora scherzando.
Mi avvicinai e sentii il suo cuore accelerare, il suo respiro caldo mi sfiorava appena. Con un dito le sfiorai piano il viso, temendo ancora che il contatto con la mia pelle fredda la turbasse, e le sollevai il volto per incrociare il suo sguardo.
“Ma senz'altro dovremmo giustificare in qualche modo il fatto che ti girerò attorno tanto spesso. Non voglio che l'ispettore Swan ricorra a misure cautelari per vietarmi formalmente di vederti” sorrisi all’idea.
“Ti vedrò spesso?” mi chiese impaziente e quasi incredula. “Starai qui spesso, davvero?”.
“Per tutto il tempo che vuoi”
“Attento, perché ti vorrò sempre. Per sempre” mi rispose.
Girai attorno al tavolo e mi avvicinai di più a lei, le sfiorai la guancia con il palmo della mano, e la guardai triste. Sapevo che non sarebbe potuto essere così, mille cose ci separavano dall’eternità. Prima tra tutte la mia natura: non sapevo per quanto sarei riuscito a mantenere intatto il mio auto controllo e nel caso in cui non ci fossi più riuscito, sarei dovuto andare via.
“Quest’idea ti mette tristezza?” mi chiese ignara dei miei pensieri. La fissai per un istante, per affiggere nella mente in modo indelebile il suo sguardo sognante, che chiedeva me e unicamente me, per il resto della sua vita.
“Hai finito?” chiesi spezzando il silenzio.
“Si”
“Vestiti. Ti aspetto qui”.
Bella salì in fretta le scale e io rimasi al piano di sotto ad aspettarla. Girai un po’ per casa cercando di scacciare l’immagine della visione di Alice dalla mia mente. In fondo non doveva essere per forza così, potevo anche riuscire a cambiarla, fino ad ora ero andato oltre ogni altra sua previsione, perché non avrei potuto farlo ancora? Sentii i passi dei Bella sulle scale e mi stupii di quanto poco tempo ci avesse messo per prepararsi. La aspettai infondo alle scale, aveva indossato una gonna marrone chiaro e quella camicetta blu che mi faceva perdere la testa.
“Okay” disse scendendo con un balzo dalle scale. “Sono presentabile”.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Giu 21, 2009 11:15 am

Bella si ritrovò più vicina a me del previsto, pericolosamente vicina. La tenni lontana per qualche istante, osservai la sua bellezza e perfezione e poi la strinsi a me.
“Sbagliato” le dissi sussurrando. “Sei assolutamente impresentabile. Nessuno dovrebbe essere così attraente: è una tentazione, non è giusto”.
Non potevo credere che davvero non si rendesse conto di quanto fosse attraente, e di come la guardassero tutti i ragazzi che incrociava.
“Attraente come?” disse cogliendo il senso sbagliato delle mie affermazioni.“Posso cambiarmi…”.
Sospirai e scossi la testa.
“Sei davvero assurda” le dissi in fine.
Mi avvicinai a lei ancora di più e le posai le mia lebbra di freddo marmo sulla fronte,dandole un piccolo e delicato bacio.
“Mi concedi di spiegarti come mi stai inducendo in tentazione?” le chiesi in una domanda ovviamente retorica. Percorsi con le mie dita fredde la sua schiena e le accarezzai i capelli, la avvicinai lentamente a me. Posai piano le mie labbra sulle sue e le dischiusi appena, faticando a trattenere la voglia di baciarla appassionatamente e di lasciare libero sfogo a tutte le mie sensazioni.
Ogni singola parte di me aveva voglia di lei, ma non potevo lasciarmi andare in quel modo. Non appena riuscii a sentire il suo respiro caldo che si confondeva con il mio, svenne.
“Bella?” la chiamai allarmato.
“Mi…hai…fatta…svenire” disse quasi senza forze.
“Ma cosa devo fare con te?!” le dissi esasperato. “La prima volta che ti bacio,mi assali!La seconda, mi svieni tra le braccia!”.
Non riuscivo a capire in che modo dovessi comportarmi. Sembravo sbagliare qualsiasi cosa facessi, e questo non mi piaceva,in questo modo avrei potuto mettere in pericolo la vita di Bella ancora di più di quanto già non lo fosse. La presi tra le braccia come per cullarla e aspettai che si riprendesse. Le voltai il viso per osservale la sua espressione, e lei rise.
“E meno male che sono bravo in tutto” dissi sospirando malinconicamente.
“Questo è il problema” disse ancora stordita e senza forze. “Sei troppo bravo. Troppo, troppo bravo”.
“Ti senti male?” le chiesi ricordando quando era svenuta nell’ora di biologia a scuola.
“ No... non è stato affatto come l'altro svenimento. Non so cosa sia successo” disse scuotendo la testa.
Era assurdo, io l’avevo fatta svenire e lei cercava di scusarsi con me, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato, quando invece la colpa era stata solo ed unicamente mia. “Penso di aver dimenticato di respirare” fu infine la sua risposta.
“Non posso portarti da nessuna parte in queste condizioni” mi apprestai a dirle. Di certo l’ultima cosa di cui avevamo bisogno è che lei si sentisse male proprio a casa mia, dove di certo le emozioni non sarebbero mancate.
“Guarda che sto bene. Epoi, i tuoi penseranno comunque che sono pazza, perciò… che differenza fa?”
Questa era una certezza. Tutti pensavano che in fondo Bella fosse un po’ folle ad accettare la mia vicinanza. Ma preferii cambiare argomento.
“Ho un debole per come quel colore si sposa con la tua carnagione” le dissi sinceramente.
Bella arrossì e distolse lo sguardo.
“Ascolta, sto cercando con tutte le mie forze di non pensare a ciò che sto per fare, perciò possiamo andare?” mi implorò.
Questa affermazione poteva avere due significati, ma ormai conoscevo la strana mente di Bella, ed era ovvio che non era la paura di diventare il nostro pasto a darle possibili ripensamenti.
“E sei preoccupata, non perché stai per conoscere una famiglia di vampiri, ma perché temi che questi vampiri non ti approveranno, giusto?” le risposi con tono di rimprovero, ma lasciando spazio ad una piccola vena ironica.
“Giusto” rispose secca, come se non ci fossero altre possibili risposte.
“Sei incredibile” esclamai. Ma la parola incredibile era veramente limitativa. Straordinaria, speciale, unica, perfetta nella tua totale stranezza, affascinante, imprevedibile… e ancora, tutte insieme, le parole non bastanzavano a descirvere un concetto degno di definire Bella.
Il pick-up mi costringeva ad una velocità… ehm.. lentezza degna della guida di un uomo della mia età.. di quella vera però! Avevo bisogno che il tempo passasse in fretta, perché una certa tensione stava avendo la meglio sulla mia razionalità e sulla consapevolezza che avevo riguardo alla positiva accoglienza della famiglia. Ma in realtà per alcuni di loro questa vicinanza obbligata non era ben accetta. Rose, Jazz.. Specialmente Jasper!
Rose era solo gelosa, egoista, quasi dispiaciuta che avessi trovato il vero amore. Non mi crucciavo troppo per lei. È vero, era anche gelosa di Bella non solo per le mie attenzioni, non unicamente perché era stata la prima a colpire il mio cuore, ma anche perché le invidiava la sua umanità. Voleva tornare indietro più di chiunque altro.
Ma l’impatto maggiore riguardava Jazz.
Era sinceramente felice per me, per la mia nuova condizione, in quanto sapeva che ero finalmente entusiasta della mia vita, era consapevole del fatto che finalmente avevo trovato un senso a quell’esistenza che sembrava ogni giorno più vuota, che diventava ancora più frustrante in compagnia delle coppie più perfette che mai potessero esistere. Per lui però era più difficile che per chiunque altro.
Però quella nuova presenza aveva per Jasper un significato ed un impatto ben diverso rispetto a quello che poteva avere per gli altro. Rispetto a quelle di Rose, le sue preoccupazioni avevano radici più profonde. Ora si sentiva forzato verso la prova più difficile della sua nuova esistenza. In fondo, se avesse ceduto con qualcun altro, chiunque altro, si sarebbe vergognato della sua debolezza, ci saremmo trasferiti e il problema si sarebbe risolto più o meno così. Ma con Bella era diverso. Se le avesse fatto del male – cosa impossibile perché l’avrei difesa a costo della mia stessa vita e di quella di Jasper, che sarebbe diventata ben più che sacrificabile – allora non sarebbe finita assolutamente bene. La tragedia più scongolgente mai sentita, tramandata, scritta, o immaginata, avrebbe avuto dimensioni infinitesimali a confronto di quella che si sarebbe imbattuta su di me… e ovviamente su di lui!
Svoltai sul vialetto. Bella non proferiva parola. Il suo viso nascondeva ogni sua emozione.
Non mi era possibile capire se fosse spaventata, curiosa, turbata, oppure felice di quella mia iniziativa. La strada sterrata faceva sobbalzare il pick-up, ormai troppo vecchio e stanco per reggere una strada così pretenziosa. Il bianco della casa spiccò in mezzo alla distesa di verde che la ricopriva. Provai ad osservare la mia casa con occhi nuovi, cercando di immaginare cosa potesse aver immaginato Bella. Nell’immaginario comune sarebbe dovuta essere simile ad un castello, possibilmente di un grigio scuro tendente al nero, con alte torri appuntite, un po’ diroccato. Oppure uno scantinato, cupo e scuro. L’interno scarno, privo di alcun arredamento futile, purchè provvisto di una stanza, ancor più buia delle altre, illuminata a mala pena da candele, che lasciavano intravedere delle bare. Mi trattenni quasi dal ridere a quegli sciocchi pensieri. La mia casa era totalmente diversa, chiara, provvista di enormi vetrate che lasciavano filtrare la luce del sole, così da diffonderla ovunque. Ognuno di noi aveva un’ampia stanza, arricchita dai più moderni strumenti elettronici ed informatici. Carlisle aveva persino uno studio ed una stanza equipaggiata con macchinari medici d’avanguardia, come se mai potessero servire in una casa per vampiri…
La verità è che questo era l’unico luogo dove potevamo lasciar spazio a tutte le nostre stranezze, essere completamente noi stessi, dove non dovevamo nasconderci da nessuno.
La casa era piena di oggetti, specialmente tecnologici, che rispecchiavano appieno i nostri gusti evoluti con il tempo. Noi potevamo apprezzare la tecnologia persino più degli umani. Non tanto per necessità, quanto per il puro fascino verso lo sviluppo. Alcuni di noi esistevano da quando non avevano ancora nemmeno scoperto l’elettricità. Non poteva non avere un certo fascino vedere quanto in là la mente umana, che ci appariva così limitata, si fosse spinta.
Ma ovviamente il puro gusto e piacere non erano il solo motivo che ci spingeva a possedere alcuni oggetti, soprattutto quelli legati alla cucina. La cucina stessa era per noi assolutamente inutile. Non era mai stata utilizzata, ne’ mai lo sarebbe stata, a parte che per le riunioni di famiglia. Quella era pura facciata. Prima o poi qualcuno avrebbe potuto – o potrebbe - autoinvitarsi e sarebbe difficile spiegarne l’assenza. Preferivamo prevedere e prevenire ogni possibilità.
Parcheggiai davanti alla casa e finalmente Bella parlò.
“Accidenti” fu la sua unica parola.
“Ti piace?” le chiesi per decifrare quella sua esclamazione.
“Ha… un certo fascino” boffonchiò. Decisamente non doveva essere come l’aveva immaginata.
Era impietrita, ma il respiro lieve e poco ritmico e il cuore in tumulto tradivano la sua emozione. Cercai di smuoverla da quella condizione, le passai le mani dietro al collo, facendo attenzione ad evitare un contatto che potesse farla sobbalzare, le raccolsi i capelli raggruppati in un elastico e tirai lievemente, moderando la mia forza. Una risatina nervosa e insieme divertita mi sfuggì, mentre mi apprestavo a farle una domanda, che ovviamente sapevo essere retorica.
“Sei pronta?” le domandai, come se io lo fossi realmente….
“Nemmeno un po’. Andiamo” tirò le labbra in un finto sorriso e cercò di sistemarsi i capelli già impeccabili.
“Sei molto carina” la incoraggiai, e un fremito mi percosse il corpo. Allungai con naturalezza la mano verso la sua. Quando la sfiorai rimasi stupito da come la sua temperatura fosse estremamente simile alla mia, ghiacciata. Il suo sangue si rifiutava di circolare per l’agitazione.
Strinsi le sue dita tra le mie e iniziai a giocherellare con il pollice sul suo velluto perlaceo, nel tentativo di tranquillizzarla. Chissà se anche lei poteva percepire la mia emozione. Era la priva volta che presentavo qualcuno alla mia famiglia… vero, non avevo mai nemmeno avuto qualcuno da presentare prima d’ora.
Camminammo lentamente verso l’ingresso. Aprii la porta e con un gesto le indicai di entrare.
Bella si mosse di pochi passi e iniziò a guardare attorno, la sua bocca era socchiusa, gli occhi spalancati. Osservò ogni angolo prima di accorgersi della presenza dei miei genitori che silenziosi la osservavano dal rialzo del pianoforte.
“Wow” Esme esclamò nella sua mente “è proprio carina. Nemmeno la descrizione di Alice le rende giustizia”:
Quando finalmente si accorse della loro presenza, Bella smise di respirare per qualche secondo, non si mosse se non impercettibilmente per raccogliere ogni dettaglio dell’aspetto di Esme e Carlisle. Sebbene non fosse la prima volta che lo vedeva sembrava molto affascinata dalla sua figura. Il suo sguardo era pieno di rispetto ed ammirazione.
Esme sfoggiò uno dei suoi splendidi sorrisi materni e alzando lievemente la mano fece un cenno di saluto.
“La abbraccerei volentieri, ma non vorrei spaventarla a morte! Meglio un passo per volta” si giustificò. “Su dai, cosa aspetti? Presentaci!”.
“Carlisle, Esme, vi presento Bella”.
“Benvenuta Bella” la accolse Carlisle, avanzando lentamente verso Bella per offrirle la sua mano.
Sorrisi della finta disinvoltura con cui Bella rispose al gesto di Carlisle, allungando la sua mano di rimando.
“È un piacere rivederla, dottor Cullen” rispose con una sicurezza che non pensavo possedesse.
“Chiamami pure Carlisle” allargò il suo sorriso.
“Carlisle” ripetè Bella, quasi ipnotizzata dalla sua presenza.
Esme, incoraggiata dalla disinvoltura che mostrava Bella, si avvicinò a sua volta e le strinse la mano.
“È davvero un piacere fare la tua conoscenza” disse, esternando la sua emozione.
“Grazie. Anche io ne sono lieta”. Bella era perfetta in questo suo ruolo, coraggiosa, sicura, sorridente. Se non ci fosse stato il suo cuore a tradire la sua tensione, sarebbe stata un’interpretazione da Oscar.
Attento come ero alle reazioni di Bella non miaccorsi dell’arrivo dei miei fratelli: “Dove sono Alice e Jasper?” chiesi senza ottenere risposta.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Giu 21, 2009 11:16 am

Una strana sensazione di tranquillità mi avvolse. Mi voltai verso le scale e vidi Jasper ed Alice che ci osservavano. Rimasi scioccato dal sentirmi così a mio agio. Come era possibile che Jazz, preoccupato come era, riuscisse comunque a graziare Bella di un dono che gli stava costando tanto sforzo?
“Fratello, mi devi un grande favore! Scusa se non mi avvicino a lei.. ma non voglio rischiare. Sai che mi piace, solo che per certi versi… ehm…. ecco… mi piace troppo! Sono contento che tu mi abbia dato il tuo benestare riguardo alla lontananza da mantenere con lei”.
Preso com’ero dal regalo di Jazz, non mi accorsi del pericoloso entusiasmo di Alice.
“Ehi, Edward” urlò un istante prima di fiondari giù dalle scale verso Bella.
“Finalmente posso accogliere la mia nuova sorellina!!!” urlò la sua mente.
Si arrestò davanti a lei “Ciao Bella!” disse e si allungò verso la sua guancia per schioccarle un bacio affettuoso. Bella sgranò gli occhi dalla sorpresa di quel gesto.
“Mmmmmmm”.
“Hai davvero un buon odore, non me ne ero mai accorta” disse Alice, senza accorgersi di come quel complimento suonasse male tanto quanto una minaccia. Bella quasi impallidì per quella accoglienza troppo calorosa.
L’imbarazzo si impossessò di tutti noi, dando spazio ad un lungo silenzio, fatto di sguardi bassi e pensieri disparati.
“Ops, credo di essermi lasciata andare troppo” pensò Alice, mentre le rispondevo con un uno sguardo abbastanza eloquente da permetterle di leggermi il pensiero.
“Povera ragazza, chissà cosa starà pensando” si preoccupò Esme.
Persino Jasper era rimasto sconvolto da quella naturalezza di Alice, lo aveva scosso abbastanza da distrarlo dalla sua importante missione. “Ci penso io” pensò e subito il clima mutò, gli sguardi si rialzarano, tranquilli, sereni. Ogni imbarazzo era sparito.
Osservai Bella, e adesso si era accorta di quel palese e repentino cambiamento di umore che ci aveva colpito. Si voltò verso Jasper, probabilmente si era ricordata di ciò che le avevo detto riguardo alle sue capacità.
“Ciao Bella” disse Jasper, restando a debita disanza. “Non sono stato troppo freddo vero?” cercò una conferma, che diedi strizzandogli l’occhio, mentre Bella lo guardava, quasi ipnotizzata dalla sua voce e assorta in chissà quali muti pensieri.
“Ciao Jasper” sembrò ritrovare la parola. “Sono felice di conoscervi.. la vostra casa è bellissima” mormorò.
Certo, la sua introduzione non era stata granchè originale, ma di certo bastava la sua presenza per dare un tocco nuovo e vivace alla nostra vita.
“Ma quanto è educata, è stupenda, la adoro! Sono certa che andrà tutto bene, si vede quanto sei felice! Che bello, è tantissimo che aspettavo questo momento, quasi iniziavo a credere che con te non ci fosse speranza e invece.. eccola qui, carina, simpatica, educata… ! Edward, non sai quanto mi stai facendo contenta!” mi fu difficile riuscire ad isolare la mente di Esme, che in preda all’entusiasmo per quella tanto attesa presenza, non riusciva a smettere di manifestarmi la sua felicità, la gratitudine che aveva nei confronti di Bella.
Fortunatamente si interruppe per risponderle: “Grazie. Siamo davvero contenti che tu sia venuta” disse intensamente. Ma la sua frenesia interrotta riprese “E poi… è così coraggiosa, a venire qui, per farti contento, per conoscerti meglio, per farsi accettare da noi…..”
Le feci un ampio sorriso e la guardai per un istante con gli occhi sgranati, ma dolci, per suggerirle il mio disagio.
Esme fortunatamente capì il mio messaggio, ma fu la volta di Carlisle “Beh, adesso che non è più un pericolo, devo ammettere che è proprio graziosa. E senza dubbio molto coraggiosa - o incosciente - non saprei... Comunque mi piace molto e voglio che tu sappia che hai tutta la mia approvazione. Tuttavia….so che non è il momento migliore per informarti di certe… novità, ma non posso rimandare, se vogliamo che Bella faccia parte della famiglia a lungo: Alice ha visto l’arrivo di nuove visite. Degli sconosciuti, 3 per la precisione. Non ci sono ancora chiare le loro intenzioni, ma è meglio che tu stia in guardia”.
Annuii leggermente, affinché Bella non si accorgesse di quel silenzioso scambio.
“Suoni?” Esme mi riportò alla realtà. Mi voltai verso Bella attendendo, a mia volta, una risposta,
“No, per niente. Ma è bellissimo. È tuo?” chiese educatamente.
Esme rise “Ma come, non le hai ancora suonato la ninna nanna bellissima che ti ho sentito comporre?”
“No. Edward non ti ha detto che è un musicista?” Chiese retorica, conoscendo già la risposta.
“No” bisbigliò. Il suo volto mostrò inizialmente un’improvvisa sorpresa, ma poi si voltò verso di me: i suoi occhi spalancati si strinsero quasi fino a diventare due fessure, le labbra che prima disegnavano un cerchio, si distesero in un sorriso finto e leggermente amaro “Immagino che avrei dovuto saperlo” continuò. “Edward è capace di fare tutto, vero?”
Una risata sonora proveniente da Carlisle e Jasper mi rimbombò nella testa. Jazz trovò l’affermazione talmente esilarante da non riuscire a non esternare almeno un po’ della sua ilarità con una risatina soffocata.
Esme invece non sembrava altrettanto divertita, quanto invece leggermente infastidita, a giudicare dall’occhiataccia che mi lanciò “Poverina, già mi sembra timida ed in soggezione per.. certe nosre differenze. Tu non butterai benzina sul fuoco, vero?!” la sentii a malapena, sovrastata com’era dal divertimento del mio fratello acquisito.
“Spero che tu non ti sia vantato troppo, non è educato” ribadì l’ammonizione.
Alzai le spalle “Solo un po’ risposi divertito.
“Sei tremendo Edward Cullen! Ma è un piacere vederti così. Ti voglio bene, lo sai”. Mi scappò una risatina.
“Per la verità, è stato fin troppo modesto” cercò di difendermi Bella.
“Beh, dai Edward, suona per lei” mi invitò Esme.
“Hai appena detto che è maleducazione” sottolineai, sperando di potermi tirare indietro.
Sebbene fossi consapevole della mia bravura, quasi mi vergognavo a dover suonare per Bella. Mi sembrava una cosa così antiquata e fuori dal comune.
“Ogni regola ha un eccezione” sbarrò ogni via di fuga.
“Mi piacerebbe sentirti suonare” ribadì Bella, forse per educazione, oppure per reale curiosità.
“Siamo d’accordo” concluse Esme, spingendomi verso il piano.
Negata ogni possibilità di replica, allungai la mano verso il braccio di Bella e con attenzione ad essere delicato, la tirai verso di me, facendola accomodare al mio fianco.
“Scusa.. ma sei troppo carino quando suoni” mi sussurrò Esme quando le passai affianco
Guardai Bella, poi rivolsi gli occhi in alto, rassegnato al supplizio al quale mi costringevano, e infine lasciai che le mie dita scorressero da sole sul piano, scivolando automaticamente da un tasto all’altro, intonando la canzone preferita di Esme.
Alzai lo sguardo per poter carpire la reazione di Bella, che guardai di sfuggita con la coda dell’occhio. Era difficile decifrare il suo volto. Le strizzai l’occhio e le chiesi se le piacesse.
“L’hai scritta tu?” domandò con un filo di voce, come per non disturbare l’armonia delle note.
Scossi lievemente il viso dall’alto verso il basso, “è la preferita di Esme” le spiegai.
Il suo viso però ora sembrava più teso, le labbra dritte, strette, si curvavano leggermente verso il basso. I suoi occhi erano rivolti verso il pianoforte, persi. Qualcosa la crucciava. Non era serena.
“Cosa c’è che non va?” Le chiesi per comprendere cosa la stesse disturbando.
“Mi sento estremamente insignificante” soffiò aria quasi prima di un suono.
Mi ero lasciato trasportare, non avevo tenuto conto dei suoi continui complessi di inferiorità, la stavo ferendo, in realtà non potevo essere me stesso al cento per cento, o almeno.. non potevo esserlo se poi avevo anche la sciocca pretesa di apparire normale, e di farla sentire a suo agio.
Il suo viso era ancora perplesso dalla velocità e fluidità delle mie dita, che scivolavano sui tasti, sicure, senza intoppi. Decisi quindi di darmi una dimensione più umana e aggiungendo delle note armoniose e rallentando il ritmo, passai alla melodia che Bella mi aveva ispirato, una ninna nanna scritta solo per lei, per i suoi sogni troppo agitati, affinché potessero cullarla al posto mio, quando ancora non credevo possibile che io potessi farlo di persona.
La sua espressione si addolcì, la pieghetta involontaria svanì dalla sua fronte e vidi un velo di commozione inumidirle gli occhi.
“Noi andiamo, se hai bisogno, sai dove trovarci” mi comunicò Esme.
“Questa l’hai ispirata tu” le confessai con un filo di voce.
Non ottenni alcuna reazione. Gli occhi rimasero spalancati, ma adesso avevano un non so che di dolce.
“Piaci a tutti, lo sai” provai a distrarla. “Soprattutto a Esme”
Si voltò verso la sala e si accorse solo adesso che ci avevano lasciati soli.
“Dove sono andati?”
“Immagino che, con molto buon senso, ci abbiano concesso un po’ di privacy”.
Sospirò. “A loro piaccio. Ma Rosalie ed Emmett…”
Ovviamente la loro assenza non poteva passare inosservata.
“Ecco, ora pronuncia pure il mio nome, ma non si vergogna? Viene qua con quella sua puzza”
“Ma cosa stai dicendo? È un profumo appena resistibile”
“Beh, nessuno ti ha insegnato che anche il profumo più buono puzza se ne metti troppo?”
Sentivo purtroppo i deliri di Rose, che fortunatamente era troppo lontana da casa perché Bella la udisse.
Non potei evitare di infastidirmi davanti alle stupidagini di Rosalie e, in quello che sembrò un attimo di esitazione, risposi a Bella, sperando di essere udito “Non preoccuparti di Rosalie, prima o poi si farà vedere”.
“Ah! Ma lo senti? Questa è proprio buona.. mi farò vedere.. come no, appena quella se andrà dalla mia casa e dopo che avrete lavato via quell’odore”.
“Emmett?” riprese Bella fissandomi scettica.
Le spiegai come lui mi trovasse totalmente pazzo per la mia scelta fuori dal comune, ma non avesse nulla contro di lei.
“Cos’è che la innervosisce?”
“Ma non può pensare ai fatti suoi!”
Feci un respiro profondo, ormai intollerante a quella fastidiosa voce che continuava a torturarmi e a dire sciocchezze, e le spiegai di come Rosalie fosse gelosa di lei, della sua umanità.
“Ah. Anche Jasper però” sottolineò Bella.
Risposi subito in difesa di Jazz, che oggi, come sempre, si era dimostrato molto più di un amico e forse più che un fratello. Era colpa mia se lui non si era avvicinato. O meglio, così le dissi, per non doverle dettagliare più del necessario il pericolo al quale in qualche modo l’avevo sottoposta.
“Esme e Carlisle?” chiese, chiudendo quasi il cerchio. La rassicurai, spiegandole quanto fossero felici per me, e di come l’avrebbero accettata anche se avesse avuto tre occhi e i piedi palmati.. E ne ero seriamente convinto.
Adesso mancava solo Alice e mi rallegrai di non avere mai avuto un cane, altrimenti avrei dovuto decifrare persino i suoi pensieri…
Ovviamente la domanda arrivò.. anzi, questa volta fu un’affermazione: “Anche Alice sembra molto.. entusiasta” disse che un tono di voce divertito e lievemente scioccato.
“Alice ha unnun modo tutto suo di vedere le cose” dissi a bocca stretta, la mie labbra sembravano rifiutarsi di pronunciare quelle parole, inorridendo davanti alla possibilità di credere alle sue visioni.
“E tu non hai intenione di parlarmene, vero?” disse. Ma questa volta non le avrei detto niente, non volevo spaventarla per una semplice possibilità. Proprio ora che Carlisle mi aveva annunciato l’arrivo dei nuovi ospiti era ancora più difficile poter rifiutare quella possibilità. Sembrava come se il destino avesse deciso di ostacolare la nostra felicità, di portarmi via ciò che di più importante avevo nella mia vita. Eppure l’entusiasmo di Alice sembrava più orientato alla seconda visione, quella che prevedeva che Bella diventasse sua sorella quasi a tutti gli effetti, ma anche questa opzione non era per me accettabile.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Dom Giu 21, 2009 11:16 am

“E cosa ti stava dicendo Carlisle prima?” Disse cambiando argomento. Apprezzai lo sforzo, ma di certò non aiutò un granchè.
“Ah, te ne sei accorta?”
Strinse le spalle, come se fosse un insulto il solo pensiero di non aver pensato che avesse prestato abbastanza attenzione.
“Certo” disse in tono secco, di chi vuole spiegazioni.
Non sapevo bene cosa dirle. Non volevo che si spaventasse troppo, ma era ovvio che ormai non potevo mentirle, tanto più che avrebbe notato la differenza del mio futuro comportamento.
“Aveva una notizia per me e non sapeva se avrei gradito condividerla”:
“E”?
Non mi lasciò nemmeno il tempo di rilettere sul come darle l’informazione senza terrorizzarla.
“Sono obbligato a condividerla, perché nei prossimi giorni – o settimane – sarò un po’.. iperprotettivo nei tuoi confronti e non voglio che pensi a me come un despota”:
“Qual è il problema” macinava le risposte ad una velocità sorprendente.
“Nessun problema per ora. Alice ha visto però che presto riceveremo ospiti. Sanno che siamo qui e sono curiosi”.
“Ospiti?” adesso sembrava rifiutarsi di capire.
“Si.. bè, ovviamente non sono come noi… quanto ad abitudini di caccia, intendo. Probabilmente non entreranno a Forks, ma non sono intenzionato a perderti di vista finchè non se ne saranno andati”.
Non ebbi concluso la mia spiegazione, che vidi i suoi muscoli stringersi e vibrare tutti insieme.
“Finalmente una reazione normale! Iniziavo a temere che non fossi dotata di istinto di sopravvivenza” cercai di scherzare.
Bella cercò distrazione nella casa, riprese ad osservarne i particolari.
Scherzai sui luoghi comuni riguardo alle strane abitudini dei vampiri di dormire nelle bare, di adornare le case con teschi.. ma Bella non mi diede grande soddifazione, tornando a commentare la casa, come se appartenesse a qualunque altra persona.
“è l’unico posto dove non siamo costretti a nasconderci” le ricordai serio.
Le mie dita, suonarono le ultime note e si arrestarono. Cercai di isolare i pensieri che mi circondavano, per dedicare ogni mia attenzione unicamente a Bella, che adesso appariva commossa, con delle grandi lacrime che lottavano per liberarsi dai suoi occhi.
“Grazie” mi sussurrò.
La guardavo fisso negli occhi, e una sensazione impulsiva, pericolosa, ma irrefrenabile ebbe la meglio su di me, il mio braccio si allungò e il mio dito catturò quella lacrima che stava per guadagnare per la prima volta la libertà. Adesso, potevo assaggiare Bella senza farle del male.
Avvicinai il dito alla mia bocca e assaporai quella preziosa goccia. Salatissima, arse la bocca come non mai. Non aveva un vero gusto, ma bastò la consapevolezza della sua provenienza per mettere in moto il veleno, che mi innondò.
Alzai lo sguardo verso Bella, e mi accorsi di quanto strano poteva esserle sembrato il mio gesto. Era perplessa, gli occhi sbarrati, le labbra socchiuse, le sue dita giocherellavano nervosamente. Nemmeno io ero realmente in grado di spiegare quella mia stranezza.
Sorrisi per l’assurdità di quella situazione imbarazzante e cercai di deviare i nostri pensieri.
“Vuoi vedere il resto della casa?” le domandai, confidando in una risposta affermativa.
“Niente bare?” chiese sarcastica, sebbene sembrasse veramente un pochino preoccupata.
Non potei trattenermi dal ride “Ninte bare, te lo prometto”.
Salimmo le scale, lentamente, mentre Bella sembrava desiderar catturare ogni dettaglio della casa da qualsiasi angolazione possibile. Imboccammo il corridoio che dava sulle nostre camere e iniziai a mostrarle le porte con un gesto, che accompagnavo con la spiegazione del proprietario della stanza che si celava dietro ad esse.
Ero diretto alla mia camera, al mio luogo più privato e personale, ma Bella si arrestò e iniziò a fissare con occhi sgranati la decorazione posta sul muro.
Trattenni a stento una sonora risata: “Puoi anche ridere, è ironico in un certo senso” le dissi.
Ma la sua espressione non mutò. Allungò la mano per sfiorare la croce, ma come se qualcosa glielo impedisse, la bloccò a pochi millimetri di distanza.
“Dev’essere antichissima”
Strinsi le spalle, per la mia famiglia ovviamente questo non era un partciolare molto importante “Anni trenta del diciassettesimo secolo, più o meno” le spiegai.
“Perché la conservate qui?” mi chiese curiosa.
“Nostalgia. Apparteneva al padre di Carlisle”:
“Era un collezionista?”
“No, L’ha costruita lui. Stava sopra al pulpito della chiesa di cui era pastore”.
Bella era nuovamente senza parole, ovviamente stava contando quanti anni avesse realmente Carlisle. E senza dubbio non poteva non pensare all’ironia del padre pastore e figlio vampiro.
“Tutto bene?” spezzai il lungo silenzio dei suoi pensieri.
“Quanti anni ha Carlisle?” non rispose alla mia domanda.
“Ha appena festeggiato il suo trecentosessantaduesimo compleanno” le dissi, leggendo nei suoi occhi che questa risposta avrebbe portato a ben altre domande. Decisi di anticiparle, spiegandole che Carlisle era quasi certo di essere nato intorno al 1640 a Londra, da un pastore anglicano che dava la caccia a streghe e vampiri. Carlisle era diffidente, e quando gli venne lasciata la guida dal padre, quest’ultimo fu molto deluso da lui. Poi però scoprì un vero covo di vampiri, che fuggirono. Però uno di loro, molto antico, sembrava sfiancato dalla fama e attaccò alcuni uomini, tra i quali Carlisle, che fu l’unico a salvarsi, in quanto il vampiro dovette difendersi dagli attacchi degli umani.
Il volto di Bella era ora bianchissimo, il suo cuore batteva lento, era quasi un bisbiglio, e aveva ascoltato tutta la storia senza fiatare. Ma quando arrivai a racconatrle di quando Carlisle fu morso e di come si fosse trasformato, sebbene avessi omesso il passaggio peggiore, vidi i suoi pugni stringersi, sempre di più, tanto che dovetti fermarmi per evitare che quelle fragili mani si rompessero davanti a tanta pressione.
“Come va?” le chiesi.
“Bene” si morse il labbro, trandendo la curiosità che ancora non era stata sfamata a sufficienza.
Sorrisi “Immagino che tu abbia qualche altra domanda in serbo”:
“Qualcuna” ridacchiò timida.
Decisi di rimandare l’appuntamento con la mia camera, per cibare la sua curiosità. Sorrisi all’idea di quanto poteva rimanere affascinata dalle incredibili storie di Carlisle, la presi per mano e la invitai a seguirmi: “Vieni allora, ti faccio vedere”.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Lun Giu 29, 2009 3:07 pm

Capitolo 17 – Carlisle

Mi voltai indietro, superai 2 porte ed attesi che Carlisle mi accordasse di entrare.
“Entrate” ci invitò puntualmente, avendo sicuramente ascoltato la precedente conversazione riguardo alla sua storia.
“Tranquillo ,di tanto in tanto mi fa piacere fare un salto nel passato, sarà un interessante mostrarle la mia storia”
Annuii impercettibilmente a quella sua cortesia.
Bella era presa ad analizzare lo studio di Carlisle, voltava il suo viso, velocemente, saltando da un particolare all’altro. Le leggevo la curisosità negli occhi, era un recipiente di informazioni che sembrava non potersi colmare mai.
Il fascino che provava mi lusingava, in qualche modo riusciva a farmi rivalutare la mia stessa esistenza, che fino ad allora era sembrata così insignificante e adesso, grazie al suo interesse, sembrava illuminarsi di mille sfumature.
Carlisle si alzò silenziosamente ma attese un istante a parlare, rispettoso come sempre, per non disturbare l’approfondita analisi alla quale Bella si stava prestando.
“Posso esservi utile?” Domandò disponibile.
“Volevo mostrare a Bella un po’ della nostra storia” gli spiegai…”Beh, della tua, a dir la verità” mi corressi.
“Non vorrei disturbare” si scusò Bella, sebbene ovviamente non desiderasse altro se non che Carlisle si apprestasse a raccontare ogni particolare della sua lunga esistenza.
“Non preoccuparti” le rispose con tono dolce. “Da dove vuoi iniziare?” si rivolse a me.
“Dalla costellazione dell’Auriga” dissi, e lentamente avvicinai la mia mano verso Bella, per farla voltare verso il quadro ad olio che ritraeva una Londra del 1650.
“Sei sicuro che non collasserà? Il suo cuore sembra impazzito!” mi chiese Carlisle, realmente preoccupato.
Trattenni a stento un risolino. Effettivamente io ormai ero abituato a quel suo cuore che ad ogni lieve tocco incomincia a battere ad una velocità incredibile, come per voler scapparre da quelle pareti che lo imprigionano, per poter saltare direttamente nelle mie mani. Ecco, Carlisle poteva ora assistere ad uno dei momenti insieme più pericolosi ed affascinanti che Bella potesse offrirmi: come tanti salmoni che lottano per risalire i fiumi, tutte le molecole del suo sangue iniziavano a muoversi contro corrente per darsi appuntamento nel suo splendido viso che si illuminava di rosso vivo.
Benchè questo spettacolo fosse ormai piuttosto comune, vista la crescente frequenza dei nostri contatti, non potevo che rimanerne stregato e fu molto difficile per me salvarla dall’imbarazzo di esporre le sue emozioni davanti a Carlisle.
“Londra nel 1650” spezzai il ritmo rock del suo cuore.
“La Londra della mia giovinezza” bisbigliò Carlisle, che silenzioso si era avvicinato a noi.
Vidi Bella avere un sussulto. Era troppo concentrata su quel quadro per poter avere udito i leggeri passi di Carlisle.
Lo invitai a raccontarci la sua storia, ma fu realmente desolato di avere un impegno in ospedale e di non potersi trattenere oltre.
Rivolse un ampio e caloroso sorriso a Bella e poi se ne andò.
“Attento ai particolari, rischi di spaventarla troppo” si peroccupò un’ultima volta.
Continuai così a raccontare a Bella la storia della sua trasformazione, i suoi tentati suicidi, la fame, la desolazione, l’impossibilità di dare una fine ai suoi tormenti, la scoperta di una nuova possibilità di vita, quandò attaccò istintivamente e disperato un branco di cervi.
Le raccontai della sua scelta di andare in Francia per studiare, viaggio che affrontò nuotando attraverso lo stretto.
“Arrivò in Francia a nuoto?” chiese scioccata.
In realtà non capivo come potesse essere sconvolta da un’inormazione simile, e le ricordai che anche tanti umani avevano fatto la medesima cosa.
“Hai ragione, ma in questo contesto suonava buffo”.
“Siamo nuotatori provetti” mi vantai.
“Voi siete perfetti in tutto” ribadì lei.
Proprio non era in grado di non commentare ed evidenziare le nostre capacità. Mi divertiva quella visione che aveva di noi, il modo in cui riempiva le sue guance d’aria prima di parlare della nostra perfezione. Era persino più buffa del solito. E in più ancora non mi aveva lasciato dire il dettaglio più importante.
“Giuro che non ti interrompo più” disse con aria di chi si aspetta una ramanzina.
Scoppiai a ridere, una grande tenerezza mi riempiva il cuore quando si relazionava così a me. Era curiosissima e non sapeva trattenersi, divorava ogni dettaglio della storia, come se stesse leggendo uno di quei suoi libri che aveva letto e riletto, fino a saperlo a memoria. E ora come reagisci a questo? Pensai tra me e me prima di lasciare che il fiato si trasformasse in suono:
“Perché tecnicamente possiamo fare a meno di respirare” dissi aspettandomi una reazione.
“Voi..”
Divertito non la lasciai continuare “No no, hai giurato!” le ricordai ridendo. Avvicinai il mio dito alle sue morbide labbra per ricordarle la promessa di stare ad ascoltare. “Vuoi sentire la storia o no?” la stuzzicai.
“Non puoi buttare lì una notizia del genere e aspettarti che io non apra bocca”.
E in effetti non me lo ero aspettato. Solo mi divertiva lasciarla sulle spine qualche volta.
Le posi la mano sulla spalla e sentii un suo sussulto. Per quanto i nostri contatti diventassero sempre più frequenti, Bella non sembrava abituarsi a me.
“Non dovete respirare?” Insistette.
“No, non siamo obbligati. È soltanto un abitudine” le spiegai come se fosse una cosa banale.
“Ma quanto tempo puoi stare senza respirare?” mi domandò.
“Anche per sempre, immagino…” in effetti non ci avevo mai provato, anche perché qualcuno avrebbe potuto accorgersene “Non so. È leggermente fastidioso… non si sentono gli odori” finii di spiegare.
“Leggermente fastidioso” mi fece l’eco… ricconobbi quel tono, ironico e infastidito. Lo stesso che proveniva dalla mia voce quando lei aveva le sue assurde preoccupazioni riguardo a situazioni sciocche, non preoccupandosi di ciò che invece era serio.
Come per esempio la sua presenza in questa casa, la mia vicinanza, il mio tocco. Solo ora avevo realizzato che sentivo la sua arteria principale pompare il sangue che pulsava leggermente sulla mia mano. La spostai lentamente, come se nulla fosse, verso la sua vita, ma soprattutto lontano dal suo collo. A volte mi avvicinavo talmente tanto, distrattamente, da preoccuparmi.
Ma adesso sentivo di avere il mio corpo e le mie pulsioni sotto controllo, a differenza della mia bocca, che sembrava voler parlare senza ascoltare nessuna delle indicazioni del mio cervello, nemmeno quella dei miei sentimenti, che la supplicavano di smetterla di rivelarle particolari che potessero spaventarla. È vero, in qualche modo mi divertiva, e insieme mi tranquillizzava quella condivisione. Ma se ad un certo punto fosse stato troppo? Troppo perché l’avrei spaventata, troppo perché i suoi complessi di inferiorità avrebbero avuto la meglio decidendo di abbandonarmi.
“Cosa c’è?” sussurrò sfiorando con le sue dita calde il mio viso. La pelle era morbidissima e disegnava cerchi di calore sul mio gelido marmo. Seguiva le espressioni congelate del mio viso, che sembrava ora sciogliersi sotto il suo tocco.
“Continuo a temere che prima o poi accada”
«Accada cosa?».
«So che prima o poi qualcosa di ciò che ti dirò, o che vedrai, sarà troppo. E in quel momento
fuggirai via da me strillando». Abbozzai un mezzo sorriso. «Non ti fermerò. Voglio che accada, perché solo così saresti finalmente al sicuro. Io voglio che tu sia al sicuro. Eppure, voglio anche stare con te. Conciliare i due desideri è impossibile...». Attesi paziente una risposta. Temendo che, adesso che l’avevo legittimata ufficialmente a sparire dalla mia vita, lo avrebbe fatto.
«Non ho intenzione di scappare, te lo prometto» bisbigliò scandendo le parole.
«Vedremo», risposi, cercando di proporre un sorriso più convincente.
Mi fissò. «Continua. Carlisle arriva a nuoto in Francia».
Cercai di raccogliere le idee e di calmarmi, per evitare che la mia voce tradisse l’ansia che ancora non avevo smaltito. Decisi di immergermi in quella che sarebbe stata probabilmente la più interessante delle storie. “Fai attenzione a quello che le racconti” mi aveva raccomandato Carlisle. Ma in fondo, raccontarle dei Volturi, che differenza avrebbe fatto? Sì certo, non avrebbero apprezzato, ma di sicuro non lo avrebbero nemmeno mai scoperto. E anche se fosse, avevo già svelato troppo, perché fosse quello il problema che li preoccupasse realmente.
Indicai il quadro più grande che ritraeva Carlisle in loro compagnia.
«Carlisle nuotò fino in Francia e frequentò le università eu¬ropee. Di notte studiava musica, scienza, medicina: trovò così la sua vocazione, la sua penitenza, proprio nel salvare vite uma¬ne» così Carlisle trovò la strada per la sua redenzione. «Non potrei descrivere la sua lotta interiore... gli ci vollero quasi due secoli per affinare l'autocontrollo. Ora è completa¬mente immune all'odore del sangue umano e può svolgere il lavoro che ama senza tormento. L'ospedale è per lui una pre¬ziosa fonte di pace». Salvare vite invece di uccidere, vite con anime! Se mai avessi vissuto in questa era, anche io avrei potuto ricervere quel trattamento privilegiato. Ma gli ero comunque grato, adesso che avevo trovato un senso alla mia centenaria tortura.
«Studiava in Italia, quando scoprì gli altri. Erano molto più civili e colti di quella specie di spettri che vivevano nelle fogne di Londra».
Toccai con attenzione il quarteto formato dai Carlisle e dai 3 vampiri più antichi del mondo. Bella osservava con attenzione ogni particolare di quel grande quadro, affascinata. Un risolino di soddisfazione le scappò dalla bocca vellutata: probabilmente lo aveva riconosciuto.
«Francesco Solimena fu molto ispirato dagli amici di Carli¬sle. Li raffigurava spesso come dèi». Ridacchiai all’ idea dei tre avvoltoi idolatrati. «Aro, Mar¬cus, Caius», dissi, mentre indicavo le figure dei Volturi, che apparivano qui lievemente meno raggrinziti. «Protettori notturni delle arti».
«Che fine hanno fatto?», mi chiese, puntando il dito verso le immagini sulla tela, quasi fino a sfiorarla.
“Sono ancora lì”. Strinsi le spalle. «Come da chissà quanti millenni. Carlisle restò con loro per poco tempo, non più di qualche decennio. Ammirava molto la loro civiltà, i loro modi raffinati, ma insistevano nel voler curare la sua avversio¬ne alla "fonte naturale di nutrimento", come la chiamavano. Cercarono di persuaderlo, come lui cercò di persuadere loro, senza risultato. A quel punto, decise di provare con il Nuovo Mondo. Sognava di incontrare qualcuno come lui. Come puoi immaginare, si sentiva molto solo”.
Per molto tempo non trovò nessuno. Però, mano a mano che i mostri perdevano verosimiglianza e diventavano solo per¬sonaggi delle favole, scoprì di poter interagire con gli esseri umani come fosse uno di loro. Iniziò a operare come medico. Ma il genere di compagnia che cercava era irraggiungibile: non poteva permettersi troppa intimità.
Quando si diffuse l'epidemia di spagnola, Carlisle faceva i turni di notte in un ospedale di Chicago. Da parecchi anni si trastullava con un'idea che non era ancora riuscito a sperimen¬tare, e in quel momento decise di agire: dal momento che non riusciva a trovare un compagno, ne avrebbe creato uno. Non era del tutto sicuro di come fosse avvenuta la sua trasformazio¬ne, qualche dubbio gli era rimasto. Ed era riluttante all'idea di rubare la vita a qualcun altro, come era stata rubata a lui. A quel punto scoprì me. Ero senza speranza: mi avevano lasciato nella corsia dei moribondi. Decise di provare...».
Ricordai lo sguardo perso di Carlisle. I suoi occhi mi fissavano senza tregua, senza mai staccarli dai miei. Non sbatteva nemmeno le palpebre. Sembrava concentratissimo, come se stesse per fare una magia. Io sentivo le mie forze abbandonarmi, da lì a pochi istanti sarei morto e non riuscivo in alcun modo a comprendere perché stesse perdendo tempo con me. Ad un certo puntò il suo corpo ebbe un sussulto, un brivido. Scosse la testa. Il mio cervello era annebbiato dalla febbre altissima, ma ricordo ogni particolare di quel momento. Ad un certo punto si avvicinò a me e mi sussurò “Perdonami”. Non capii, ma bastarono pochi istanti per realizzare il motivo del suo comportamento. Notai per la prima volta, dopo giorni di cure, i suoi denti bianchi perfetti e affilatissimi. Come in preda a chissà quale frenesia si avventò su di me e mi coprì la bocca. Pensavo volesse soffocarmi per mettere fine alla mia vita prima di chissà quale ultima pena, e invece un dolore fortissimo mi avvolse.
Ma non era il caso di scendere nei particolari con lei. No, questo non glielo avrei raccontato. Cercai di ridare al mio viso e alla mia voce delle sembianze accettabili e sorrisi della felicità che, grazie a Carlisle, stavo vivendo.
«Così, il cerchio si chiude» conclusi.
«Hai sempre vissuto con lui?» mi chiese Bella, insaziabile.
«Quasi». Posai dolcemente una mano sul suo fianco e la guidai fuori dallo studio, stringendola a me. Il momento delle confessioni era terminato. Desideravo solo raggiungere la meta della mie preoccupazioni di questa mattina.
«Quasi?» insistette lei.
Sospirai. Non sopportavo di nasconderle un dettaglio così importante. Ma avevo paura di quella che sarebbe stata la sua reazione. Lei mi vedeva perfetto, indistruggile ed incorruttibile. Credeva che mai avrei ceduto alle tentazioni, ma si sbagliava su di me: «Be', ho passato anch'io il mio periodo di ribellione adolescen¬ziale, più o meno dieci anni dopo la... nascita... o creazione, chiamala come


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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Lun Giu 29, 2009 3:08 pm

vuoi. La sua vita di astinenza non mi convince¬va, ce l'avevo con lui perché non faceva che soffocare il mio appetito. Perciò, per qualche tempo, me ne andai per i fatti miei».
«Davvero?» Esclamò quasi affascinata. Per quanto fossi abituato alle sue stranezze, non mancò di sconvolgermi anche questa volta.
«Non ne sei disgustata?» provai a capire.
«No».
«Perché no?» le domandai con tono quasi arrabbiato. Com’è possibile che non ne fosse quantomeno turbata. Come poteva non essere disgustata all’idea che abbia vissuto uccidendo degli uomini. Forse non aveva realmente colto ciò che avevo provato a dirle.
«Perché... sembra una scelta ragionevole» rispose seria e tranquilla.
Non potei trattenere una fragorosa risata. Aveva proprio capito il significato implicito, eppure lo trovava ragionevole!
«Dal giorno della mia rinascita», mormorai, «ho avuto il vantaggio di poter leggere nel pensiero di chiunque mi si tro¬vasse vicino, umano e non umano. Perciò mi occorsero dieci anni per sfidare Carlisle: vedevo la sua sincerità immacolata e capivo perfettamente cosa lo spingesse a vivere così.
Mi ci volle solo qualche anno per tornare da Carlisle e rico¬noscere che aveva ragione. Pensavo che sarei rimasto immune dalla... depressione... che la coscienza porta con sé. Dal mo¬mento che leggevo nel pensiero delle mie prede, potevo rispar¬miare gli innocenti e assalire soltanto i malvagi. Se seguivo un assassino dentro un vicolo buio dove aveva intrappolato una ragazza... se salvavo lei, allora certo non avevo motivo di sen¬tirmi così tremendo». Cercai di giustificare il mio terribile comportamento. Finalmente vidi una reazione sensata: Bella rabbrividì.
«Ma con il passare del tempo, iniziai a vedere la mostruosità nei miei occhi. Non riuscivo a sfuggire al peso di tutte quelle vite umane strappate, che lo meritassero o no. Così tornai da Carlisle ed Esme. Mi accolsero come il figliol prodigo. Non meritavo così tanto».
Mi fermai davanti alla porta della mia camera. Presi una profonda boccata d’aria, come quando ero umano, irrazionalmente, come se così facendo avessi potuto aiutare il mio corpo a tranquillizzarsi. La verità è che mi sentivo molle, come se i miei ferrei muscoli si stessero sciogliendo. Nonostante mi avesse perdonato quelle terribili confessioni, io avevo paura! Non di qualcosa di reale. Non di un pericolo concreto. Ero spaventato come un ragazzino, ero emozionato, all’idea di farla entrare e tanto bastò per scacciare quei mostruosi ricordi dalla mia mente.
Era la prima volta che mostravo la mia stanza a qualcuno che non fosse un membro della mia famiglia. Nonostante non ci fosse nulla di strano in quel gesto e pur non nascondendo niente di eclatante, mi sentivo agitato. Stavo per condividere il luogo per me più intimo, con la persona più importante della mia esistenza. Bella stava per inebriare la mia stanza con il suo profumo, con la sua curiosità, con la sua bellezza.
“La mia stanza” la informai con un filo di fiato.
Aprii la porta lentamente e qualcosa di simile ad un fremito attraversò il mio corpo. Le sarebbe piaciuta? L’avrebbe colpita vedere quanto normale potesse essere il mio rifugio? La banalità della mia stanza l’avrebbe aiutata a vedermi più normale, umano e raggiungibile? Di certo, acuta come era, avrebbe subito notato la mancanza del letto. Non che non sapesse che non dormivo, ma la mancanza di un oggetto così fondamentale non avrebbe di certo aiutato a raggiungere il mio obiettivo di normalità. Difficile dire perché questa fosse diventata una nuova ossessione - ossessione… da quasi un secolo vivevo nell’apatia e adesso si stavano sviluppando una serie di pensieri e sentimenti nuovi che si intrufolavano nella mia testa e non volevano in alcun modo uscirne… - non che dubitassi dell’amore sincero di Bella: lei era troppo onesta, vera e sincera per poter fingere un tale sentimento, ma quasi avevo paura che inconsciamente fosse attratta dalla mia diversità.. una sorta di masochismo che nasceva dalla differenza sensibile tra le mie capacità straordinarie e la sua visione assoluamente pessimistica che aveva di se stessa.
Per questo volevo apparire quanto più normale possibile, come per mettere alla prova anche il suo spericolato, autodistruttivo inconscio.
Come aveva fatto per tutto il resto della casa, Bella rimase imbambolata ad osservare ogni dettaglio, come se la sua vista potesse cogliere lo stesso quantitativo di dettagli che i miei occhi potevano catturare. Osservò la foresta, che immensa, dominava fuori dalla grande vetrata che occupava una parete intera. Poi voltò il viso verso il divano, che prendeva il posto del letto.
Sussultai, attendendo che emettesse un suono stupito, e invece continuò la sua analisi, soffermandosi adesso suli drappi che scendevano dalle altre pareti.
“Migliora l’acustica?” chiese distraendomi dalla mia angoscia.
Le fui grato di non aver accennato all’unico dettaglio strano di quel luogo a me così caro. Le sorrisi realmente contento e annuii.
Presi il telecomando dello stereo e lo accessi, lasciando che la musica Jazz ci avvolgesse con la sua malinconica allegria. Il Jazz, la mia musica, la musica della mia infanzia, la musica di Chicago. Ricordai come ogni singolo vicolo della mia città ne fosse avvolto. Mi ricordai di una serata primaverile. Il cielo di un blu cobalto si ribellava al nero dalla notte, difeso da una luna luminosa che irradiata i suoi candidi raggi, rendendo qusi inutili le prime luci artificiali. Mia madre danzava per strada, facendo giravolte, leggiadra come una piuma che, sospesa da una leggera brezza, dondola nell’aria. La sua risata riecheggiava nelle mie orecchie, mentre mi prendeva la mano, facendomi volteggiare assieme a lei.. Mio padre, con la pipa in bocca, ci osservava con occhi amorevoli. Questo era uno degli ultimi ricordi felici prima che la Spagnola me li portasse via. Proprio due sere dopo quella bellissima serata, mio padre iniziò ad accusare i primi sintomi, la febbre alta inumidiva il suo volto, sfiancato dai dolori. Il sorriso di mia madre fu spazzato via dai colpi di tosse incessanti, finchè delle piccole macchie di sangue non iniziarono a macchiare le sue mani pallide. Ricordo il terrore che provai, la paura di perderli, e poi il nulla che avvolse anche me, la mente annebbiata, l’incapacità di pensare, il mio cervello che sembrava ribollire, le grida e i pianti dell’ospedale….
“In che ordine li hai sistemati?” chiese osservando la collezione di dischi, distogliendomi dalla mia tragedia
“Uhm.. sono divisi per anno, e poi per preferenze personali”le risposi brevemente.
Possibile che la sua presenza dovesse sempre riportarmi alla mia umanità? Possibile che la sua vicinanza mi facesse ricordare istintati dimenticati o cancellati? Eppure avevo ascoltato quel disco migliaia di volte, senza che la sua melodia mi riportasse a Chicago.
Ma adesso, nonostante quegli opprimenti pensieri, mi sentivo libero, leggero, spontaneo, naturale, allegro, sollevato. Ormai non avevamo più segreti a tenerci lontani. Le mie sciocche paure, che stavano per avere la meglio sull’impulso di aprirmi, erano finalmente state sconfitte.
La guardai negli occhi, quegli occhi nocciola, il colore della natura, della purezza, della verità. Erano sinceramente tranquilli e rilassati. Potevo leggere il suo affetto, la sua stima, la spericolata assenza di paura, il suo desiderio di condivisione.
“Cosa c’è?” mi chiese ansiosa.
Trattenni una risata al pensiero di che buffa espressione potesse ora nascondere il mio viso.
“Immaginavo che mi sarei sentito… sollevato. Farti sapere tutto, non avere più bisogno di segreti. Ma non pensavo che sarebbe andata ancora meglio. Mi piace. Mi fa sentire… felice” strinsi le spalle come un adolescente timido e lasciai che le mie labbra si tirassero in un ampio sorriso.
«Sono contenta», disse, ricambiando il sorriso.
A parte il piccolo tremore che aveva avuto, non aveva ancora dimostrato una reazione normale a tutte le rivelazioni del giorno. Pensai che forse sarebbero arrivate più tardi, ma prima o poi avrebbe dovuto vedersela con la sua parte razionale, e avrebbe dovuto reagire.
«Sei sempre in attesa degli strilli e della fuga a gambe levate, vero?», domandò.
Annuii cercando di sorriderle. Per lei ormai ero un libro aperto, mentre per me lei continuava a restare il mistero più affascinante al mondo.
«Scusa se ti smonto così, ma non sei terribile come pensi. Anzi, a dirla tutta non ti trovo affatto spaventoso » disse disinvolta.
Riuscì nuovamente a stupirmi. Era un’ovvia proocazione, ma se era ciò che voleva, ci era riuscita alla perfezione! Decisi che era l’ora di mostrarle davvero cosa potevo fare! Un sorriso sicuro e provocatorio scappò dalle mie labbra e la avvertii.
«Questo non dovevi dirlo».
Lasciai che il fondo della gola vibrasse, emettendo un ringhio prolungato e spaventoso. Permisi ai miei denti affilati di emergere dalle labbra che li tenevano sempre nascosti con cura e in un lampo mi acquattai in posizione di caccia, tendendo tutti i muscoli pronti allo slancio.
Bella mi guardò con reale preoccupazione, i suoi occhi erano spalancati, come se temesse che chiudendoli avrebbe perso l’ultimo istante della sua vita. Conoscevo bene quello sguardo, l’avevo visto molte volte tanti anni fa. Istintivamente il suoi piedi indietreggiarono e il suo corpo si sporse lievemente in avanti, pronto alla fuga.
«Non provarci» disse cercando di dare un tono ironico alla sua voce spezzata. Le leggevo negli occhi che per la prima volta non era sicura che stessi realmente giocando.
A quell’ennesima istigazione, senza pensarci due volte, balzai verso di lei e, facendo attenzione ad essere abbastanza delicato, le cinsi la vita con le mani alzandola e, attento a proteggerla con le braccia, atterrai sul letto che si spostò sbattendo sonoramente con il muro. Gli occhi di Bella si riaprirono e provò inutilmente a liberarsi dalla mia presa.
Non le permisi di smuovere le mie braccia, non volevo che si allontanasse da me. Sentivo il suo cuore correre come mai prima d’ora. Conobbi per la prima volta il suono della sua paura. Ma non volevo ferirla, non volevo che stesse male. Ammorbidii le braccia e con una lieve pressione spinsi il suo volto contro il mio petto muto, sperando di darle un po’ di conforto.
Bella, per la prima volta, alzò lo sguardo. I suoi occhi erano lucidi, rossi, irritati. Il suo respiro affannato. Ero stato cattivo, ma non potevo negare di essermi divertito a stupirla in questo modo.
Mi scrutò con attenzione, analizzando la mia espressione e finalmente il battito del suo piccolo cuore decellerò ritornando ad un ritmo accettabile.
«Dicevi?», ringhiai, per scherzo.
«Che sei un mostro molto, molto terrificante». Cercò di suonare sarcastica, ma la sua voce tradì l’ammonizione e la paura che provava a celare.
«Così va molto meglio» tesi le labbra in un sorriso compiaciuto.
«Uhm». Si agitò . «Adesso posso alzarmi?» mi chiese poco convinta.
Udii Alice e Jasper che parlottavano fuori dalla porta e risi al pensiero di che faccia avrebbe fatto quando sarebbero entrati vedendoci così.
«Possiamo entrare?», sussurrò Alice.
Bella tentò nuovamente di divincolarsi dalla mia presa, e decisi di lasciarle un po’ di spazio, ma senza farla allontanare da me. Ammorbidendo lievemente la presa la voltai fino a farla sedere sulle mie gambe. Lasciai che le mie braccia la cingessero nuovamente. Il suo volto adesso si era colorato del mio rosso preferito, un rosso diverso da prima: non era più agitazione, si sentiva nuovamente sicura. Come avevo immaginato, adesso si vergognava.
«Avanti», dissi ridendo.
Alice entrò nella camera a passi lenti ma sicuri.
“Ma che carini che siete. Mi pare che ormai tu riesca a starle vicino con facilità“.
Alice era divertita dalla scena e non era certamente imbarazzata. A casa nostra le effusioni erano per loro qualcosa di molto comune.
Arrivò vicino a noi e poi si rannicchiò per terra.
“Oddio, non so come facciate, ma io preferisco restarmene qui. Questa camera profuma più di un campo di guerra” si giustificò Jasper, che rimase sulla porta, guardandoci con occhi spalancati.
«Abbiamo sentito strani rumori... se stavi per mangiare Bel¬la per pranzo, sappi che ne vogliamo un po' anche noi» di¬chiarò Alice, con il suo strano quanto inappropriato senso dell’umorismo.
Sentii i muscoli di Bella contrarsi, probabilmente non aveva gradito quella ironia vampiresca. Un ghigno si fece strada tra le mie labbra per l’improbabilità di quella situazione.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Lun Giu 29, 2009 3:09 pm

«Scusate, ma non credo di potervene offrire», risposi, avvi¬cinandola ancora di più al mio petto, mentre i suoi muscoli si rilassavano di nuovo.
«A dir la verità», disse Jasper, sforzandosi di sorridere mentre avanzava verso di noi, «Alice dice che stasera ci sarà un temporale con i fiocchi ed Emmett vuole organizzare una par¬tita. Sei dei nostri?».
Bella mi guardò con aria perplessa.
Era da tanto tempo che non organizzavamo una bella partita, un momento di comunità per tutta la famiglia. C’erano stati troppi conflitti perché qualcuno proponesse di divertirci un po’. Però non volevo allontanarmi nemmeno un istante da Bella, soprattutto sapendo delle visite che attendavamo.
Guardai Alice, lasciando trasparire il mio desiderio e la mia tutabanza.
«Ovviamente porta anche Bella», mi comprese al volo.
“State scherzando vero? E io che speravo di potermi rilassare. È un complotto!!
«Vuoi venire?», chiesi entusiasta, ignorando le lamentele di Jazz.
«Certo». Rispose senza pensarci. «Ehm, dove?».
«Per giocare dobbiamo aspettare i tuoni... il perché lo ca¬pirai» ghignai.
«Servirà l'ombrello?» chiese preoccupata, non era una grande amante dell’umidità.
Scoppiammo tutti a ridere all’unisono.
«Tu che dici?», chiese Jasper ad Alice.
«No». Era molto convinta. «Il temporale colpirà la città. Nello spiazzo staremo all'asciutto».
«Bene». E il rinnovato entusiasmo di Jasper si diffuse nell’atmosfera. Era un peccato che fosse troppo riflessivo e tormentato per lasciarsi andare spesso a questi momenti. Niente era più bello dell’allegria che lui sapeva diffondere.
«Chiediamo a Carlisle se viene anche lui» disse Alice camminando verso la porta.
«Come se tu già non lo sapessi», la provocò Jasper chiudendo la porta.
«A cosa giochiamo?», chiese.
Risi. Chissà come se la sarebbe cavata Bella a giocare con noi. Non ero sicuro nemmeno che fosse in grado di vedere la palla.
«Tu resti a guardare. Noi giochiamo a baseball».
Di scattò voltò la testa e mi fissò stupita: «I vampiri giocano a baseball?».
«È il passatempo americano per eccellenza», risposi ironico.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Sab Lug 11, 2009 10:29 pm

Capitolo 18 - La partita

Ero completamente distratto dalla musica di sottofondo e dai miei pensieri, mentre guidavo verso casa di Bella. Solo quando imboccai la strada di casa Swan la mia attenzione venne attratta dai pensieri di Billy Black,che aspettava, insieme a suo figlio Jacob, sotto la bassa veranda dell’abitazione per ripararsi dalla lieve pioggerellina che iniziava a scendere.
“E’ l’ultima volta che vedi Bella” gridò nella sua mente Billy con tanta di quella rabbia che quasi credetti a quelle parole.
Era venuto a mettere al corrente Charlie della mia relazione con Bella. Fortunatamente l’idea che Charli aveva dei Cullen differiva notevolmente da quella dei Quileutes, tanto da essere stata motivo di litigio in passato.
“Non lo farai, cane!” pensai. O meglio, lo dissi, in modo tanto impercettibile, che bella non capì nemmeno una parola.
Non poteva farlo, Billy non poteva raccontare a Charlie tutta la verità: il patto che ci legava da generazioni lo vietava e in un certo senso proteggeva il nostro segreto. Infatti anche se i Quileutes conoscevano la nostra natura non potevano rivelarla a nessuno; Ephraim Black, bisnonno di Jacob, aveva trovato un accordo con Carlisle, impedendo a noi Cullen di cacciare nella riserva e di trasformare un qualsiasi essere umano in vampiro in cambio del mantenimento del nostro segreto, che non doveva essere svelato agli altri esseri umani.
“Stavolta hanno passato il segno” dissi, sicuro che Bella avesse già compreso l’esatto motivo della visita di Billy.
E’ venuto a mettere in guardia Charlie?” ipotizzò infatti, con un viso che rifletteva perfettamente il suo stato d’animo: era ansiosa, temendo che Charlie potesse dare retta al suo migliore amico, impedendole di vedermi.
A mio avviso, la sua preoccupazione era chiaramente ingiustificata, sebbene lei non conoscesse alla perfezione i termini dell’accordo. E poi, ovviamente, nessuno avrebbe mai potuto impedirmi di vedere bella, nemmeno io stesso, persino la mia parte razionale, che di solito vinceva tutte le battaglie, aveva assaggiato la sconfitta.
Feci cenno di sì con la testa mentre fissavo Billy e vedevo chiaramente quelle che erano le sue intenzioni. Fortunatamente Charlie non era in casa e di certo Billy si stava giocando la sua ultima occasione di violare il patto. Bella doveva assolutamente dire a Charlie che io ero il suo ragazzo, doveva presentarmi ufficialmente, dovevo conoscerlo e soprattutto lui doveva conoscere me, e dovevo convincerlo del fatto che io no ero un pericolo per sua figlia, sebbene non ne fossi totalmente convinto io stesso.
“Lascia fare a me” disse bella guardandomi negli occhi. Il suo sguardo era deciso e visibilmente arrabbiato per quella improvvisa intrusione nella nostra beatitudine.
Avrei voluto occuparmi personalmente dei Quileutes, ma lasciarlo fare a Bella sarebbe stato molto più sensato: in questo momento non ero in grado di parlare con Billy Black, non in modo civile per lo meno, e sicuramente la situazione sarebbe precipitata.
“Probabilmente è la scelta migliore. Però fai attenzione. Il bambino non sa nulla.” Dissi a denti stretti. Acoltai Jacob mentre si disperava per la figuraccia che suo padre gli avrebbe fatto fare da lì a poco. Era totalmente perso e innamorato di Bella, nonostante avesse avuto poche occasioni per stare con lei. E questa non era una di quelle che avrebbe voluto sfruttare..
“Jacob non è tanto più piccolo do me” rispose bella sinceramente offesa dalla mia affermazione.
“Si lo so” le risposi cercando di trattenere una risatina. Era difficile non vederla come una cucciola: anche lei a volte, sebbene fosse così matura, mi sembrava una bambina da proteggere. Ma adesso più che cucciola, era un micetto arrabbiato.. e offeso, e il suo volto si era tinto di rosso donandole un’aria buffa più del solito, ma anche splendida.
”Falli entrare, così potrò andarmene. Tornarò al tramonto” decisi.
Bella mi guardò con aria scettica ”Vuoi che ti lasci il mio pick-up?” chiese, come se quel mezzo – difficilmente classificabile come auto – potesse essermi di qualche aiuto.
“Ricorda che io a piedi sono molto più veloce del tuo pick-up”le feci notare.
“Non sei obbligato ad andartene” mi disse fissandomi direttamente negli occhi, con il cioccolato fuso acceso e speranzoso.
“Invece si” le risposi con un sorriso, che cercai di fare sembrare naturale. Avrei tanto voluto accontentarla e restare, ma l’odore di Billy era nauseante e per di più non volevo scatenare una guerra per guadagnare solo qualche minyto in più della sua compagnia.
“Dopo che ti sarai liberata di loro” mi interruppi stregato dallo sguardo di Billy che continuava a fissarmi con aria minacciosa ”ti toccherà preparare Charlie a conoscere il tuo nuovo ragazzo” dissi ridendo. Pensavo all’espressione che Bella avrebbe avuto parlando al padre di me e soprattutto immaginavo la reazione di Charlie che era fin troppo geloso e protettivo nei confronti della sua unica ed adorabile “bambina”.
“Tante grazie, che bella notizia” rispose. Ed in quel momento anche se non ero in grado di leggere nei suoi pensieri, sapevo perfettamente che non approvava questa mia decisione, non le piaceva aprirsi con Charlie, erano persone riservate e poco abituate a condividere le loro emozioni.
“Tornerò presto, lo prometto” le dissi e sfoderai il mio sorriso sghembo che tanto le piaceva; mi avvicinai per darle un bacio appena sotto il mento.
“Presto” ripetè quasi urlando mentre scendeva dall’auto.
La seguii con lo sguardo fino a quando non varcò la porta di casa seguita da Jacob e Billy.
Scesi dal pick-up e decisi di allontanarmi. Corsi verso la foresta per rilassare i miei muscoli che in questo momento erano tutti contratti per l’ irritazione.
Inoltre non volevo ascoltare il loro dialogo; conoscevo perfettamente l’idea che i Quileutes avevano della mia famiglia e, avendo letto i suoi pensieri, sapevo che Billy avrebbe raccontato a Bella qualsiasi cosa – eccetto probabilmente la verità - per farle cambiare idea e per metterla a conoscenza del pericolo che secondo lui stava correndo.
Non che dubitassi in alcun modo di lei. Ormai sapeva tutto, aveva visto con i suoi occhi di cosa ero capace, sapeva della parte cupa del mio passato, conosceva la mia strampalata famiglia, era stata persino indicata come possibile pranzo, sebbene solo per scherzo. No. Non dibitavo di lei. Ma la mia curiosità nei confronti di Billy, delle reazioni che poteva avere, delle parole che potevano scambiarsi, mi fecero cambiare idea e direzione, riportandomi indietro verso casa Swan.
“Vedo che tu passi parecchio tempo in compagnia di uno dei Cullen” chiese conferma Billy con fare interrogatorio, mentre io mi avvicinavo verso il retro della casa.
“Si” rispose Bella lievemente imbarazzata.
“Forse non sono affari miei, ma non penso che sia una buona idea” incalzò Billy.
“Bella, tu non sai cosa sono in grado di farti quei succhiasangue“ pensò Billy mentre la guardava fisso negli occhi.
Ero orgoglioso dell’immagine di Bella che vedevo riflessa nei pensieri di Billy, era determinata, sicura e convinta delle sue affermazioni.
Tanto che anche Billy pensò ”ma come fai, come puoi non accorgerti che c’è qualcosa di strano in quel ragazzo? come fai a non vedere il pericolo che stai correndo?”
“Si, hai ragione” rispose lei.
In una frazione di secondo mi sentii crollare. Come poteva dargli ragione. Come poteva dubitare di me. Perché adesso, d’un tratto, solo perché quel cane anziano le sconsigliava di frequentarmi, lei aveva cambiato idea? Stava fingendo per allontanarlo senza creare problemi, oppure era seria? Guardai angosciato lo sguardo di Bella, e tutte la felicità che aveva rianimato il mio cuore svanì d’un colpo. I suoi occhi mostravano che era più seria e decisa che mai, e purtroppo conoscevo le sue scarse doti di attrice.
“Non sono affari tuoi” continuò dopo qualche istante dopo, con gli occhi che ardevano dalla rabbia.
I miei muscoli si rilassarono e io scoppiai in una risata isterica.
“Probabilmente non lo sai, ma la famiglia Cullen gode di cattiva reputazione nella riserva” ribattè Billy, convinto che questa notizia fosse a lei nuova. “E adesso come la metti?” pensò speranzoso di essere finalmente ascoltato, o quantomeno di destare la sua curiosità.
“A dire la verità lo so eccome” rispose Bella senza rivelare alcuna emozione ”ma non se la sono affatto meritata, no? Dal momento che, a quanto mi risulta, i Cullen non mettono mai piede nella riserva, o sbaglio?” continuò Bella, sicura che questa notizia avesse confuso Billy.
L’espressione di Billy cambiò, le labbra si strinsero lasciando che tutte le piccole rughe attorno alla sua bocca si incontrassero. I suoi pensieri improvvisamente tornarono al patto tra Ephraim Black e Carlaisle. Si infuriò ancora di più, convinto che avessi violato io stesso il patto, raccontandole della nostra segreta tregua, ignorando che era stato il suo stesso figlio, che, non credendoci, aveva usato questa storia come arma per affascinare l’oggetto del suo casto e candido desiderio. Ma soprattutto capì che Bella sapeva chi ero veramente, quale fosse la mia natura.
“E’ vero” ammise, amareggiato da quella affermazione.” Sembri … ben informata, a proposito dei Cullen. Più di quanto mi aspettassi” borbottò.
“Forse anche meglio informata di te” ribattè Bella e la sicurezza che trapelava dai suoi occhi mi fece sentire quasi insignificante. Come avevo potuto dubitare di lei? Come avevo fatto a pensare che avesse potuto anche solo per un istante vacillare ascoltando i consigli di Billy? Lei mi amava, nonostante ciò che ero, e me lo dimostrava continuamente.
Anche Billy se ne rese conto. “Può darsi” rispose.
“Anche Charlie ne è informato?” usò l’ultima arma a sua disposizione., anche per un sincero senso di colpa legato all’ignoranza del suo caro amico riguardo alle pericolose frequentazioni della figlia. E, soprattutto, Billy sapeva benissimo che Charlie non avrebbe mai potuto sapere la verità.
Il tono di voce di Bella cambiò. Non era mai stata brava a mentire, ed odiava dover mantenere un segreto a Charlie.”A Charlie i Cullen piacciono molto” disse con voce quasi stridula. Fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare.
Billy aveva colto il suo punto debole e la sfruttò senza esitare nemmeno un istante “Non sono affari miei, ma forse di Charlie sì” affermò con tono seccò, lasciando che la sua voce resa rocca dal tempo e dal tabacco sferrasse l’ultimo attacco.
Ma Bella lo stroncò sul nascere, rispondendo con una freddezza che non pensavo le appartenesse ”E penso che sia affar mio, decidere se sono suoi,o sbaglio?”
“Questa ragazza ha perso la ragione, se crede che lascerò che finisca qui. Lo faccio per lei, per il mio amico Charlie, per tutta la comunità. Tregua non vuole dire pace e non posso non combattere quei potenziali mostri!” pensò Billy, assolutamente convinto che salvare il mondo dalla mia famiglia fosse la sua missione..
“Si , immagino che anche questo sia affar tuo” rispose Billy mentendo.
Non riuscii a trattenere un ruggito che mi risalì dalla gola. Come poteva quell’uomo preoccuparsi di me, quando invece c’erano altri di noi in giro liberi e poco gestibili. Come poteva lui giudicare noi dei mostri, quando loro stessi in passato erano stati dei mostruosi lupi violenti? Chi si credeva di essere per potere giudicare?
Bella sospirò di sollievo, candendo nella sua trappola ”grazie Billy” disse, in modo riconoscente.
“Però stai attenta a quello che fai, Bella”aggiunse Billy come ultimo avertimento, per ora.
“Certo” rispose Bella, che adesso aveva ritrovato il sorriso e aveva ripreso a respirare in modo calmo e naturale.
“Quel che voglio dirti è:non fare ciò che stai facendo”. Questa fu l’ultima frase di Billy prima che Jacob varcasse la soglia della porta lamentandosi di non aver trovato non so cosa in macchina.
Pensai alla frase che aveva fatto irritare Bella qualche minuto prima. No, Bella e Jacob non potevano essere definiti “coetanei”. Bella era già una donna, pronta a sacrificare tutto per le persone che amava, proprio come solo una donna innamorata sa fare. Era matura, responsabile – perlomeno quando non si ostinava a volere amare un vampiro - ed intelligente.
Billy e Jacob lasciarono casa Swan ed io decisi di lasciare a Bella qualche minuto di privacy. Aveva bisogno di un po’ di tranquillità, di qualche secondo da “umana” – come lo definiva lei - e soprattutto doveva pensare a come affrontare suo padre.
Quella scena non me la sarei persa per niente al mondo. Volevo ascoltare la reazione di Charlie e mi chiedevo se quella risolutezza che aveva dimostrato con Billy sarebbe rimasta intatta, oppure se avrebbe vacillato affrontando Charlie.
Rimasi nascosto dietro a casa sua attendendo impaziente il ritorno di Charlie.
Udii il telefono di Bella squillare e subito la voce di Jessica mi perforò i timpani. Io senza dubbio avevo un udito piuttosto sviluppato, ma ero certo che la sua voce già naturalmente acuta, adesso fosse realmente udibile a qualunque umano si trovasse alla stessa distanza. Compatii Bella che dovette assorbirsi quell’inutile entusiasmo per un banale bacio quasi privo di sentimento che si era scambiata con Mike Newton.
Bella sembrava distratta, si limitava a sporadici mugolii.
Ero talmente assordato da quella voce da non udire il motore borbottante dell’auto della polizia che rientrava. Ma fu senza dubbio provvidenziale il tempismo del capo Swan:
«Edward Cullen non si è più fatto vivo?» chiese Jessica.
Bella esitò, incerta su cosa raccontare, in effetti non era ancora chiaro quale tipo di relazione ci legasse, non agli altri.
«Ehilà, piccola!», esclamò Charlie entrando in casa.
«Ah, c'è tuo padre. Nessun problema, ne parliamo domani. Ci vediamo in classe» la liquidò Jessica.
«A domani, Jess». La salutò Bella.
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Messaggio  ♥αℓι¢є ¢υℓℓєи 2и∂ тωιи♥ Sab Lug 11, 2009 10:31 pm

«Ehilà, papà» gli urlò tentando di fingere entusiasmo. «Dov'è il pesce?».
Mi arrampicai fino alla sua camera e mi distesi sul suo letto, pronto a gustarmi la scena.
«Vado a prenderne un po' prima che congeli: oggi pomerig¬gio Billy è passato a portare della frittura e delizie varie prepa¬rate da Harry Clearwater». Probabilmente questo rappresentava un disperato tentativo di addolcirlo.
«Davvero?». Il tono di voce di Charlie mostrò tutto il suo entusiasmo. «È la mia pre¬ferita».
Sentii rumore di piatti, ma nessuno dei due fiatava. Immaginavo che Bella stesse prendendo tempo per formulare nel modo migliore la sua confessione/richiesta…o meglio, la mia.
«Tu cos'hai fatto oggi?», chiese Charlie spezzando il silenzio..
«Be', oggi pomeriggio ho gironzolato per casa...». disse Bella con falsa naturalezza. «E sta¬mattina sono stata dai Cullen» la sua voce corse quasi a voler nascondere quel dettaglio eclatante.
Udii una qualche posata cadere sul piatto..
«A casa del dottor Cullen?», chiese Charlie incredulo.
«Sì» bisbigliò appena Bella.
«E cosa ci sei andata a fare?». La sua voce si alzò, in preda ad una sorta di shock.
«Be', avevo una specie di appuntamento con Edward Cul¬len, stasera, e lui ha insistito per presentarmi ai suoi genitori... Papà?».
«Papà, stai bene?».
«Esci con Edward Cullen?», chiese con voce quasi rabbiosa.
«Pensavo che i Cullen ti piacessero».rispose Bella realmente preoccupata per quella reazione.
«È troppo vecchio per te»
Mi trattenni dal ridere rumorosamente, non sapeva quanto avesse ragione!
«Siamo entrambi al terzo anno» se la cavò Bella. Riusciva sempre a trovare la risposta giusta, quella che le avrebbe permesso di dire la verità, seppur incompleta.
«Aspetta... Qual è Edwin?».
«Edward è il più giovane, quello con i capelli castano rama¬ti»
Rimasi deluso da quella scarna descrizione… quello con i capelli ramati.. il mio ego si offese.
«Oh, be', così va... meglio, direi. Quello grosso non mi piace granché. Non ho dubbi che sia un bravo ragazzo e tutto il resto, ma sembra troppo... maturo per te. Questo Edwin è il tuo ragazzo?».
Eravamo arrivati al punto. Con uno strano istinto umano ritrovato trattenni il fiato, come mi capitava di fare quando ero un semplice umano agitato. Però adesso non faceva una grande differenza. Ripresi quindi a respirare, per cogliere la differenza nell’intensità della fragranza di Bella, che aumentava con il crescere del ritmo del battito del suo cuore.
«Si chiama Edward, papà» polemizzò su un dettaglio inutile. Non ce la facevo più ad attendere, dovevano arrivate al punto. E la stessa cosa pensava il buon Charlie.
«Allora?» chiese con tono da interrogatorio.
«Più o meno sì» borbottà lei.
«Ieri sera hai detto che in città non c'erano ragazzi interes¬santi» la sua voce mostrava la sua confusione.
«Be', Edward non vive in città» si giustificò.
«E in ogni caso», riprese, «siamo ancora alle prime fasi. Non mettermi in imbarazzo con discorsi da fidanzati, okay?».
«Quando arriva?» fu scontato che a questo punto dovevamo incontrarci
«Tra qualche minuto dovrebbe essere qui» e il suo profumo piombò fino a qui.
«Dove ti porta?» la sua voce preoccupata e protettiva.
Era un peccato che i suoi pensieri già confusi diventassero indecifrabili quando si innervosiva. Volevo arrivare preparato a quell’appuntamento. Era la prima volta che mi ponevo il problema di piacere ad un genitore e in generale potevo essere rassicurato all’idea dell’incontro con una madre, che avrebbe necessariamente ceduto al mio fascino. Ma un padre.. mi avrebbe visto solo per ciò che ero. Una minaccia per la sua bambina. E non potevo nemmeno dargli pienamente torto.
«Spero che abbandonerai presto il tuo metodo da Tribunale dell'Inquisizione. Andiamo a giocare a baseball con la sua famiglia» disse seccata, e per quanto fosse la prima piena verità che dicesse.. sembrava talmente incredibile da passare quasi per una bugia.
«Tu giochi a baseball?» concordò con me Charlie, rispondendo con una voce carica di sarcasmo e decisamente divertita all’idea. Bella che faceva sport – poco credibile!
«Be', probabilmente resterò a guardare» si corresse,
«Deve piacerti davvero, eh?», commentò, malizioso.
Sentii Bella sospirare. Non riusciva ad essere altrettanto ironica sul suo cattivo rapporto con l’equilibrio.
Corsi nella mia macchina che avevo abbandonato a pochi isolati di distanza, indossai l’impermeabile che avevo lasciato grazie all’impeccabile previsione di Alice e di fretta tornai a casa di Bella.
Suonai il campanello e come mi aspettavo Charlie si precipitò ad aprirmi.
«Entra, Edward». Riuscì a non sbagliare nome.
«Grazie, ispettore», risposi rispettoso.
«Chiamami tranquillamente Charlie. Dammi il giaccone» cercò di sembrare cordiale e di abbandonare i suoi modi burberi.
«Grazie, signore» mantenni una certa reverenza per ingraziarmelo.
«Siediti pure, Edward».
Mi sedetti su di una sedia, mentre davanti a me si accomodarono Charlie e Bella, affianco a lui. Il suo volto era contratto in una smorfia di fastidio. Cercai di farla rilassare strizzando un occhio in segno di ringraziamento.
«E allora, ho sentito che porti mia figlia a vedere una partita di baseball» disse lui con un tono piuttosto dubbioso.
«Sì, signore, quello è il programma» risposi io in tono calmo. In fondo non c’era nulla di strano, o quantomeno non sarebbe stato trano se sua figlia non fosse stata la persona meno sportiva del pianeta.
«Be', in bocca al lupo, allora» disse lui in tono sarcastico, lasciandosi andare in una risata che fu per me contagiosa.
«D'accordo» disse Bella, alzandosi irritata allo scherzoso tono con il quale ci rivolgevamo alle sua sfortunata avversione all’equilibrio. «Smettetela di prendermi in giro. Andiamo» continuò prenendo la sua giacca,
Io mi alzai a mia volta per seguirla. Mi accorsi che si stava facendo tardi e soprattutto non volevo prolungarle quella che sembrava per lei un’agonia. Non si sentiva molto a suo agio ad avermi lì in compagnia di Charlie e lo stesso in effetti era anche per me. Ero contento di essermi presentato e di essere stato in qualche modo accettato, ma comunque la mia natura era sempre quella di un vampiro, e da qualcuno Bella aveva pur preso il suo odore, o almeno alcune tonalità.. Non che trovassi Charlie attraente in alcun modo, trattenni a stento una risatina a quel pensiero, però anche lui era… diciamo.. appetitoso in qualche senso.
«Non fare tardi, Bell» si agitò lui quando varcammo la porta.
«Non si preoccupi, Charlie. La porto a casa presto», promisi.
«Tratta bene mia figlia, d'accordo?» suonava quasi una minaccia. Povero Charlie, se solo avesse saputo…
Bella sbuffò impaziente. «Le prometto che con me starà al sicuro, signore» promisi a me stesso piùù che a lui e conclusi così il nostro primo incontro. In fondo non era andata male.
Bella accellerò il passo fuori dalla porta, era ovvio che volesse mettere fine a quello scambio quanto prima. Il passo veloce e impacciato, la sua postura rigida e nervosa, la spalle strette e il volto rivolto e concentrato sui suoi piedi le donaroo un’aria buffa alla quale io e Chalie non sapemmo resistere, scoppiando in una sonora risata.
La seguii per non irritarla troppo e non potei non notare il suo stupore davanti alla Jeep di Emmett, che rispelndeva maestosa davanti a lei. Non passò indifferente nemmeno a Charlie che ci accompagnò con un fischio.
«Allacciate le cinture», disse, ridendo sotto i baffi.
La raggiunsi e da cavalliere le aprii la porta. Bella esitò, probabilmente studiando l’altezza dell’auto e calcolando le mosse per salire senza darci altro motivo di ridere di lei. Allungai la mia mano e poggiandola con attenzione su di lei premetti appena permettendole di raggiungere il sedile. Sorrisi ai suoi occhi che mi fulminarono e con passo calcolato e lento mi avviai verso il lato della mio sedile.
Quando mi sedetti trovai Bella imbrogliata nelle cinture della macchina.
«E questa cos'è?» chiese lei irritata.
«Un'imbracatura da fuoristrada» le risposi, constatando la sua poca dimestichezza con quel genere di cinture.
«Mamma mia» esclamò lei.
Lasciai che continuasse per un po’ ad armeggiare con l’attrezzatura, ma alla fine constatando la sua schicciante sconfitta mi decisi ad aiutarla, sebbene sapessi che non avrebbe gradito il gesto.Il suo cuore rincominciò inspiegabilmente ad agitarsi.
«Questa jeep è davvero... grossa, non c'è che dire» spezzò quel breve silenzio.
«È di Emmett. Immaginavo che non ti andasse di fartela tutta di corsa» le spiegai, ripensando a quanto poco le era piaciuta l’esperienza precedente.
«Dove tenete questo coso?» chise lei curiosa.
«Abbiamo trasformato in garage uno degli edifici accanto alla casa».
«Non ti allacci la cintura?» mi chiese poi lei. Allacciarmi io la cintura? A volte mi chiedevo se fosse incredibilmente ironica o se proprio non volesse accettare che, in qualche modo, ero diverso.
«Tutta di corsa? Nel senso che dovremo anche cammina¬re?» realizzò finalmente l’indizio che le avevo dato. La sua voce si fece molto acuta..
«Tu non correrai». Specificai con un ghigno.
«Io starò di nuovo male» sottolineò lei.
«Se chiudi gli occhi andrà tutto bene».
Il suo viso si ingrigì ed irrigidì in una espressione di profonda concentrazione, come se stesse combattendo la nausea in anticipo.
Per consolarla mi avvicinai verso la fronte per darle un bacio, ma mi fermai a pochi millimetri dalla sua profumatissima pelle. Il mostro gorgogliò, un piccolo crapò mi scosse lo stomaco e la gola, lasciai uscire tutta l’aria che avevo respirato e arrestai la respirazione, provando a ritrovare il controllo..
Risposi quindi al suo sguardo perplesso che mi fissava dritto negli occhi: «Il tuo odore con la pioggia è buonissimo».
«In senso buono o cattivo?» chiese, come se le due cose fossero in alcun modo separabili.
Mi lasciai andare in un profondo sospiro «In entrambi i sensi, come sempre» purtroppo.
Accesi il motore ed iniziai a guidare godendo il rumore dei cristalli di pioggia che cadevano aggraziatamente sull’asfalto. Le ruote spazzacano ai lati della strada l’acqua che emetteva delle note armoniose, con il suo flusso. Nonostante l’odore forte che impregnava l’auto, riuscii a sentirmi nuovamente rilassato e mi concentrai sulla strada, guidando in silenzio fino al bosco.
L’acqua si stava diradando, proprio come previsto dalla mia infallibile sorella.
«Scusa, Bella, ma ora ci tocca procedere a piedi» spezzai il silenzio per avvisarla dell’inevitabile.
«Sai una cosa? Ti aspetto qui» mi sfidò lei.
«Dov'è finito il tuo coraggio? Stamattina sei stata straordi¬naria» la incoraggiai.
«Non ho ancora dimenticato l'ultima volta» rispose imbronciata.
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Scesi dalla jeep, e in un lampo mi precipitai al suo fianco. Cominciai a slacciarle l’imbracatura, facendo attenzione ad ogni mio minimo movimento.
“Ci penso io, tu va avanti” protestò. Non potei, almeno nei miei pensieri, sopprimere una risatina pensando a come poco prima aveva tentato impacciata di allacciarla e, inoltre, non osavo pensare a quanto tempo avrebbe impiegato per slacciarla.
“Mmm…” fu la mia risposta . Intanto avevo già finito di slacciarle l’imbracatura. La sollevai con delicatezza e la feci scendere dalla jeep.
“A quanto pare mi toccherà mettere mano alla tua memoria” dissi ripensando a ciò che mi aveva detto poco prima. Non capivo di cosa avesse paura, ma sapevo che Bella era molto testarda, e che non sarei riuscito a convincerla molto facilmente se avessi giocato secondo le regole. Così decisi che l’unica soluzione era quella di giocare sporco, in fondo mi sarebbe bastato avvicinarmi un po’ per mettere ko la sua determinazione. Sorrisi dei miei pensieri.
“Qualcosa del genere” le risposi continuando. La feci scendere e la poggiai con le spalle contro la portiera della jeep, tenevo le mani appoggiate al finestrino, come per impedirle di fuggire, mi avvicinai ancora di più portando il mio viso a pochi centimetri dal suo.
“Dimmi di cosa hai paura” le chiesi sussurrando e sfoderando tutto il fascino ammaliatore di cui ero capace.
“Be', ecco, di sbattere contro un albero... e di morire. E poi, di avere la nausea”.
Faticai a trattenere una risata: per me era inconcepibile il fatto che avesse così tanta paura di un albero e invece di me, l’unico serio pericolo che quasi inevitabile incombeva su di lei, non si curasse minimamente.
Decisi di mettere alla prova il mio e il suo autocontrollo, Piegai la testa e avvicinai le labbra all’incavo del suo collo, potevo sentire il sangue il suo sangue pulsare frenetico nelle vene, il mostro che celavo, in qualche antro desolato e nascosto dentro di me protestò, ma quasi non me ne accorsi, e me ne compiacqui.
”Hai ancora paura adesso?” le chiesi sfiorandole il collo con le mie labbra gelide.
“Si” mi rispose.
Sentivo il battito del suo cuore accelerare ogni secondo, il suo respiro affannoso e caldo raggiungere il mio viso gelido. Il suo odore riempì i i miei polmoni e la mia gola cominciò a bruciare, il veleno mi inondò la bocca, e il mostro dentro di me protestò più forte, ma lo ignorai.
“Di sbattere contro gli alberi e di avere la nausea” ripresi quasi ironico.
Con la punta del naso disegnai una linea lungo il suo collo fino ad arrivare alle sue labbra, solo pochi millimetri le separavano dalle mie, riuscivo a sentire l’elettricità che si era creata, riuscivo quasi a vederla nell’aria. Smisi di respirare, i miei polmoni erano talmente tanto impregnati del suo odore da impedirmelo.
“E adesso?” sussurrai, talmente vicino alle sue labbra da poterne sentire il calore.
“Alberi…nausea da movimento” rispose quasi senza fiato. La sua ostinazione mi sorprese, non avrei mai immaginato che avesse potuto resistere così a lungo, e così vicina. Avevo bisogno di riempire i polmoni di aria fresca e di riacquistare tutto il mio auto controllo. Così le baciai la fronte, mi scostai di qualche centimetro e ripresi quasi rassegnato.
“Bella, non dirmi che credi davvero che potrei sbattere contro un albero” le chiesi quasi divertito, era impossibile che una cosa del genere accadesse, come poteva non saperlo?.
“Tu no, ma io si”. Il suo tono di voce era tutt’altro che convinto, stava per cedere, così ripresi con il mio tentativo di persuasione e comincia a pregustare il sapore della vittoria. Avvicinai le mie labbra fredde e marmoree al suo volto, sfiorai dolcemente le sue e un brivido percorse lento il mio volto. La baciai sulla guancia ad un centimetro dalle sue labbra, sentii riardere la gola e il rumore delle catene che imprigionavano il mostro, riecheggiare nella mia mente. Sentii il desiderio di avvicinarmi di più, di stringerla, di baciarla, ma mi trattenni, adesso non potevo, ero quasi riuscito a convincerla non potevo abbandonare così, proprio ad un passo dalla vittoria. Sorrisi dei miei pensieri e poi continuai.
“Pensi che permetterei ad un albero di farti del male?” Sfiorai le sue labbra con le mie, trattenendomi a fatica dal baciarla.
“No” mi rispose.
“Vedi” le dissi senza allontanarmi “Non c’è niente di cui aver paura, no?”
“No” disse rassegnata con un filo di voce.
Ormai l’avevo convinta, il mio piano era riuscito. Avrei solo dovuto prenderla in spalla e andare, ma non ci riuscii. La voglia di baciarla, delle sue labbra calde, che sinuose e vellutate si modellavano sulle mie, mi assalì e non riuscii più a controllarla. Così, con impeto, non riuscendo quasi più a controllarmi, presi il suo volto tra le mani e la baciai. Questa volta fu un vero bacio, le mie labbra si muovevano decise e insaziabili sulle sue, sentivo il calore del suo corpo contro il mio, un fremito mi attraversò lento, e la voglia di stringerla cresceva sempre più pericolosa. Bella, come al solito, non fece niente per aiutarmi anzi, si strinse a me il più forte che poteva e ricambiò con foga il mio bacio. Sentivo il veleno salire caldo dal fondo della gola e la voglia di lei trasformarsi pericolosamente. Cominciai a sentire crescere sempre di più la voglia del suo sangue, avvertii il cambiamento del mio corpo, prima rilassato, quasi elettrico, e ora pronto a scattare. Compresi che la mia concentrazione stava lentamente passando dalla voglia di baciarla a quella del suo collo candido e sinuoso. Sentivo che stavo per cedere che non ero più in grado di controllarmi standole così vicino. Scattai lontano contro un albero che era dietro di noi, con le braccia mi tenevo al tronco quasi potesse trattenermi. Ripresi fiato. Riempii i polmoni di aria pulita, lasciai che il veleno scorresse lento giù lungo la gola, e aspettai che i miei muscoli tornassero a rilassarsi.
“Accidenti Bella!”dissi ansimando “Tu mi vuoi morto, altroché!”
“Tu sei indistruttibile” mi rispose senza fiato.
“Lo credevo anch'io, prima di conoscerti. Adesso andiamocene da qui, prima che io combini qualche grossa stupidaggine” ringhiai. Questa volta l’avevo fatta grossa, avevo osato troppo, rischiando, quasi senza accorgermene, di perdere completamente il controllo.
La tirai in spalla con un gesto forse troppo irruento nonostante mi stessi sforzando di mantenere la calma, ed essere il più delicato possibile.
“Ricordati di non guardare” la rimproverai con tono severo.
Nascose il volto tra le mie spalle, fece un respiro profondo e sentii il suo cuore cominciare a tornare a battere con regolarità. Sospirai e cominciai la mia corsa attraverso il bosco.
Ero arrabbiato, ma non con lei, con me stesso. Come avevo potuto fare una sciocchezza simile? Come avevo potuto osare così tanto e mettere la sua vita, la vita della persona che più amavo al mondo, la vita dell’unica ragione per la quale avesse senso vivere, così a rischio? Il solo pensiero di quanto qualche istante prima ero stato vicino ad…non potevo neanche pensarci. Dovevo concentrarmi, riacquistare la calma e la serenità. Avevo solo i pochi minuti del viaggio a mia disposizione, avrei dovuto fare in fretta, non volevo che Bella leggesse la paura, lo sconforto, la rabbia e la tristezza nei miei occhi. Dovevo riprendermi. Non correvo al massimo delle mie possibilità. Bella non avrebbe retto, anche se in quel momento avrei voluto farlo. Percepivo ogni cosa di tutto ciò che mi circondava. Riuscivo a sentire il rumore delle gocce di rugiada che lente cadevano dalle foglie umide e toccavano terra, sentivo il rumore della corsa frenetica di un branco di cervi a qualche chilometro di distanza, riuscivo a vedere i meravigliosi giochi di luce che il sole creava nell’aria. Mi concentrai su quelli e continuai la mia corsa cercando di non pensare a ciò che era accaduto. Arrivammo a destinazione, quasi nel centro della foresta, accarezzai i suo i suoi capelli.
“Ci siamo Bella” le dissi.
Lei alzò la testa lentamente come per accertarsi che fossimo davvero fermi, allentò la presa dalle mie spalle e si lasciò scivolare giù. Cadde battendo il sedere sul terreno umido e fangoso, e tentando di rialzarsi scivolò gambe all’aria.
“Ohi!” esclamò.
La guardai per qualche istante, ero ancora arrabbiato, e non volevo darle l’impressione di esserci passato sopra. In fondo anche se ero arrabbiato con me stesso, per quanto avevo osato, lei d’altro canto non mi aveva certo aiutato a restare calmo, ormai avrebbe dovuto sapere come comportarsi, no?
Ma alla fine non seppi resistere ad una scena tanto divertente e mi lasciai andare ad una sonora risata.
Bella si alzò, e cercando di ignorarmi, cominciò a scrollarsi di dosso il fango irritata dalla mia risata, non seppi resistere e risi più forte. Arrabbiata cominciò a camminare a quelli che, almeno per lei ,dovevano essere passi svelti. Stava andando nella direzione sbagliata, e questo di certo non mi aiutava a smettere di ridere, ma quando mai Bella aveva fatto qualcosa per aiutarmi? MI precipitai dietro di lei e le cinsi i fianchi con le braccia, poggiai il mio volto sui suoi capelli e inspirai profondamente, ormai non riuscivo più a fare a meno il suo odore, ormai non riuscivo più a fare a meno di lei. Disegnai una sottile linea con la punta del mio naso sul suo collo, e sospirai.
“Dove vai, Bella?”
“A vedere una partita di baseball. Non mi sembra che tu abbia più tanta voglia di giocare, ma sono certa che gli altri si divertiranno anche senza di te” rispose.
“Stai andando dalla parte sbagliata” dissi sorridendo.
Si voltò svelta e cominciò ad andare nella direzione opposta, facendo attenzione a non incrociare il mio sguardo; era arrabbiata per il modo in cui avevo riso di lei, ma non seppi trattenermi, era così buffa…La ripresi tra le braccia e la tenni forte, facendo attenzione a non farle male, per impedirle di allontanarsi da me.
“Non arrabbiarti, è stato più forte di me. Avresti dovuto vederti in faccia” non riuscii a trattenere una risatina.
“Ah, l’unico a cui è permesso di arrabbiarsi sei tu?”chiese irritata.
“Non ero arrabbiato con te” spiegai. Come poteva credere che fossi arrabbiato con lei? Era solo con me stesso che dovevo e potevo prendermela, come poteva non averlo capito?
“Bella tu mi vuoi morto!”ripeté le mie parole con tono acido, quasi di rimprovero.
“Quello è un semplice dato di fatto” cercai di sdrammatizzare.
Cercò di divincolarsi dalla mia presa, ma non glielo lascia fare. Continuai a stringerla a me.
“Eri arrabbiato” constatò.
“Si” le risposi, era la verità, ero arrabbiato, ma con me stesso, non con lei.
“Ma se hai appena detto…”
“Non ero arrabbiato con te. Non capisci Bella?”.
Mi rabbuiai improvvisamente ripensando a ciò che avevo rischiato di perdere pochi minuti prima. Ero stato così vicino all’ucciderla, e questo non avrei mai potuto perdonarmelo. Sarei dovuto andare via in quello stesso istante e non tornare più, lasciare che lei vivesse la sua vita, senza un mostro come me a mettere a repentaglio la sua vita ogni secondo,ma non lo feci. Non potevo, non potevo vivere senza di lei, ed ero talmente egoista da non riuscire a privarmene.
“Non capisci?” continuai interrompendo i miei nefasti pensieri.
“Cosa?” mi rispose persa senza capire.
“Non sono mai arrabbiato con te. Come potrei esserlo? Sei sempre così coraggiosa, fiduciosa…calorosa”.
“E allora perché?” mi chiese con un filo di voce. La sua espressione si rattristò e io mi sentii tremendamente colpevole. Colpevole della sua tristezza, delle sue insicurezze e delle sue indecisioni, forse non ero mai riuscito a spiegarle fino in fondo cosa provavo, ed ora dovevo farlo.
Le accarezzai delicatamente le guance, e presi un respiro profondo.
“Ciò che mi infuria” dissi cercando di essere il più chiaro e dolce possibile “è l’impossibilità di proteggerti dai rischi. La mia stessa esistenza è un rischio, per te. A volte mi odio dal profondo. Dovrei essere più forte, capace di…”.
Non riuscii a finire: Bella si voltò di scatto verso di me e mi chiuse la bocca. Dentro di me ero sin troppo contento di quel suo gesto, il fatto che non volesse lasciarmi finire la frase, che non volesse neanche ascoltare le parole “lontano da te”, mi faceva sentire ingiustamente felice. Presi la mano con cui mi aveva zittito e la posai sulla mia guancia. Sentii il suo calore diffondersi piano lungo tutto il mio volto, non sarei mai riuscito ad abituarmi al suo tocco, al suo calore, ai suoi baci…ne’ tanto meno volevo farlo. Sospirai
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